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Nioh: evoluzione dai Dark Souls e rapporto con il passato

I Souls, per validissime ragioni, sono ormai materia di culto per milioni di videogiocatori. La FromSoftware del nostro terzo Miyazaki preferito si gode da qualche anno a questa parte la veduta gloriosa dall’alto della cima del genere action GDR, dispensando prove magistrali di level design a destra e a manca. Questo grande successo ha portato per forza di cose a delle imitazioni, non sempre riuscite come sperato. A provarci sono stati in molti, infatti, ma catturare appieno lo spirito e la forza dei Souls appare pressoché impossibile. Tra i contendenti al trono di miglior “Souls-like” troviamo Lords of the Fallen, Salt and Sanctuary, Titan Souls e molti altri. Cosa li accomuna? L’aver cercato in ogni modo di mimare Dark Souls. Se invece prendiamo in esame Nioh, ci accorgiamo di come i principi fondanti di design siano leggermente diversi.

Sia Nioh che i Souls condividono basi d’ispirazione comune. A variare è il modus operandi. FromSoftware ha saputo reinterpretare al meglio alcuni degli elementi dei vecchi Onimusha, Bushido Blade e Tenchu, che sono stati miscelati talmente bene da creare addirittura un sottogenere. Non solo, vi ha costruito sopra una struttura GDR condita da meccaniche uniche ed estremamente appaganti. Il Team Ninja, invece, ha scelto di non rifarsi in modo diretto ai classici ma ha rimodernato l’impianto dei suoi primi Ninja Gaiden importandovi quanto di buono appreso dall’esperienza Souls. Le differenze con titoli come Lords of the Fallen sono evidenti e sostanziali. Nioh non cerca in tutti i modi di essere Dark Souls: è invero dotato di uno stile caratteristico nonché riconoscibile. Specialmente da chi ha amato il primo Ninja Gaiden su Xbox, diremmo. Con quel titolo Nioh condivide la velocità del combat system, i tipi di armi utilizzabili, il funzionamento dei frame di invulnerabilità e tante altre scelte di design. Nonostante le apparenze, il feedback restituito dal controllo di William ricorda davvero da vicino quello di Ryu Hayabusa.

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Il feeling che abbiamo avuto giocando a Nioh è stato di trovarci dentro all’evoluzione più sensata della serie Ninja Gaiden. Gli sviluppatori hanno ampliato ed approfondito un gameplay già rodato da lungo tempo, adattandolo alle tendenze odierne in materia di action GDR con tutti i dovuti distinguo. Dire che si sono ispirati a Dark Souls è corretto sulla carta, tuttavia servono delle precisazioni.
I Souls -e lo diciamo da appassionati- non hanno inventato nulla. I giochi difficili esistevano da molto prima del 2009. Recuperare l’esperienza dal proprio cadavere in game divenne popolare con Diablo. Impossibile attribuire poi a FromSoftware l’invenzione dello scaling delle armi, della barra d’energia consumabile in combattimento, di livelli interconnessi da scorciatoie e sensati a livello architettonico, della metanarrativa, di nemici e boss dai pattern articolati e così via. Tenete presente che alcuni tra questi elementi, difficoltà infernale in primis, erano peraltro già reperibili in Ninja Gaiden.

In secondo luogo, pur volendolo associare ai Souls, Nioh presenta svariate particolarità. La storia, i personaggi e il modo in cui gli eventi vengono narrati aprono la lunga lista di differenze. Il setting storico basato sul folklore giapponese, anziché sul classico medieval fantasy, colpisce e funziona alla grande. C’è anche il ritorno alla linearità, con la strutturazione in missioni di vario genere e sfide sia online che offline. Per quanto riguarda la gestione di armi ed equipaggiamenti il modello preso a prestito rispecchia la filosofia degli MMO e Diablo in relazione al focus sulla rarità del loot (comune, raro, epico, etc.), dei bonus offerti da ciascun pezzo o set oltre che dai collezionabili sparsi per le mappe e del crafting, possibile grazie alla presenza di appositi materiali e di uno dei fabbri più utili nella storia dei videogiochi. Non esistono cap di alcun tipo, né per il livellamento né per la coop, e la difficoltà è selezionabile liberamente.

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Inoltre il combat system scevra notevolmente dalla metodicità dei Souls. Qui troviamo combo esclusive per ogni tipo di arma, da sbloccare attraverso i punti abilità, tutte studiate per mantenere sempre altissimo il ritmo degli scontri. A ciò si somma la gestione intelligente dell’energia, che può addirittura essere recuperata durante una serie di attacchi evitando stalli. Diverso pure il combattimento a distanza, viabile ed efficace in confronto a quello dei Souls, in verità piuttosto sottosviluppato. E per finire ci sono tonnellate di gadget, abilità magiche e da ninja, tutte estremamente efficienti. Definirlo un mero clone delle opere di Miyazaki non ha davvero nessun senso. Ad essere onesti, gli elementi ispirati ai Souls risultano per giunta migliorati rispetto agli originali. Fermo restando che comunque FromSoftware non ne detiene il brevetto e Nioh, lo ripetiamo, ci ha dato più l’impressione di essere una versione aggiornata e adattata al mercato odierno del primo reboot di Ninja Gaiden (rimuovendo platforming e juggle, com’è ovvio).

Possiamo definirlo un Souls-like? Ni. Pur attestando l’ideazione da parte di FromSoftware di un certo sottogenere di action GDR, sarebbe sciocco ignorare l’impegno profuso da Team Ninja nello sviluppo di un titolo simile e minimizzarne il valore in termini di design attribuendo indirettamente il successo di Nioh a quello dei Souls. E’ come tacciare i nuovi Tomb Raider di aver plagiato Uncharted. Insensato, sul serio, poiché non si tiene conto del fattore cronologico. Ninja Gaiden, nel 2004, era il corrispettivo odierno di Dark Souls. Curioso, no? I generi videoludici si evolvono di continuo ed è in pratica impossibile al giorno d’oggi rivoluzionare il game design. Si studia, s’impara e si prende spunto per realizzare prodotti di un certo spessore. E Team Ninja, in questo senso, ha fatto il proprio dovere.

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