Shenmue nrs

Perle del passato: Shenmue

Che lo si ami o lo si odi, Shenmue rappresenta un importantissimo pezzo di storia del mondo videoludico. La serie di Yu Suzuki rompeva gli schemi già a suo tempo grazie ad un comparto tecnico straordinario e un sistema di gioco destinato ad influenzare per sempre la concezione comune di game design. In particolare la sua struttura open world, considerata tra le migliori in assoluto, ha gettato le basi per l’evoluzione (o involuzione) del genere sulle spalle di titoli maggiormente popolari come GTA, The Elder Scrolls e Yakuza.
A 17 anni dall’uscita del primo capitolo, una retrospettiva ci sembra il modo migliore di ricordarlo. Rivediamone insieme la storia e cerchiamo di capire cosa gli ha fatto guadagnare lo status leggendario di cui gode oggi.

Shenmue è uno dei titoli più costosi mai realizzati: le spese di SEGA si avvicinavano ai 70 milioni di dollari. Già da questo si poteva intuire l’accesa ambizione di Suzuki nel voler realizzare un titolo colossale. Per chi non lo sapesse, l’uomo di cui stiamo parlando aveva un curriculum da urlo. Hang-On, Space Harrier, Out Run, After Burner, Virtua Racing e Virtua Fighter, tra gli altri, li aveva ideati lui. Curiosamente, Shenmue nacque dalla coraggiosa idea di traslare Virtua Fighter in un RPG. A quanto pare furono il viaggio del 1993 in Cina e la ricerca effettuata sugli esponenti di spicco del videogame ruolistico giapponese dell’epoca a spingere Suzuki verso il grande passo. I lavori iniziarono nel ’96 su Saturn e stando alle tech demo rinvenute relativamente da poco i risultati apparivano promettenti. Tuttavia, a causa del fallimento commerciale della console, il progetto venne messo da parte.

Shenmue

Non del tutto, però. Nel dicembre del 1999 uscì infatti su Dreamcast ciò che avrebbe in origine dovuto essere Virtua Fighter RPG, ovvero Shenmue. Sviluppato da circa 300 persone (tra cui figure in parte estranee al settore come registi e sceneggiatori) nel giro di 3 anni, il titolo riuscì a piazzarsi alla quarta posizione tra i più venduti su Dreamcast con circa 1,2 milioni di copie. Purtroppo non fu abbastanza perché la base installata della console era comunque esigua e SEGA subì un forte contraccolpo economico. Fu a tutti gli effetti una ingente perdita. Si stimava che per vedere un minimo di utile la compagnia nipponica avrebbe dovuto vendere almeno il doppio del totale. Insomma, parlando in termini commerciali si trattò senza dubbio di un gravissimo insuccesso.

Volendo invece osservarlo soltanto dal punto di vista ludico, a Shenmue non mancava proprio nulla.
Innanzitutto il comparto narrativo. Si partiva da una semplice storia di vendetta, dopo l’uccisione del padre del protagonista Ryo Hazuki da parte del misterioso criminale cinese Lan Di, alla ricerca di antichi artefatti dai poteri mistici custoditi nel dojo appartenente alla famiglia del giovane. Ciò che rendeva particolare il racconto era la maniera in cui veniva snocciolato. Il pacing perfetto dosava con cura gli avvenimenti nel giusto ordine introducendo pian piano il giocatore nel vivo dell’azione. Si alternavano momenti riflessivi a fasi drammatiche e comic relief, il tutto nella piena contiguità di causa ed effetto. Non mancava il coinvolgimento emotivo dato dall’analisi psicologica profonda dei personaggi, tutti doppiati magnificamente (in giapponese e in inglese) e caratterizzati in modo esemplare. Alcuni, su tutti Chai, Izumi, Chunyan, derivavano direttamente da Virtua Fighter.

La locazione del primo Shenmue abbracciava l’intera città di Yokosuka, nella prefettura di Kanagawa.
In tal senso viene definito il primo, vero, “open city” in piena regola, seguito poi a ruota da GTA III. La differenza è che qui l’ambientazione trasmetteva quel senso di vitalità tutt’ora sconosciuto alle produzioni occidentali. Ciò lo dovevamo all’incredibile amore per il dettaglio degli sviluppatori, capaci di raffigurare con fedeltà maniacale le varie sfaccettature di un territorio, dunque la cultura, le tradizioni locali, le routine e i comportamenti degli abitanti. Inoltre l’esplorazione era più che incoraggiata dalle centinaia di attività in stile Yakuza 0 sparse per la mappa di gioco. Segreti, missioni secondarie, oggetti interattivi come musicassette da collezionare ed ascoltare, gashapon a tema Sonic, telefoni pubblici, distributori di bevande, arcade con classici SEGA inclusi, slot machine, braccio di ferro, freccette e tantissimi altri minigiochi interessanti. Si poteva addirittura lavorare part time in qualità di magazzinieri, nonostante non fosse proprio una mansione eccitante.

Gli elementi meccanici fondanti erano due: i quick time event e il sistema di combattimento da picchiaduro. L’alternanza di questi ultimi garantiva un sagace mix tra azione libera e controllata, tra teoria e pratica. Sfortunatamente l’introduzione dei QTE da parte di Suzuki ha procurato a Shenmue un sacco di odio a nostro avviso immotivato. Se si utilizza qualcosa in modo errato perché addossare la colpa all’inventore? La stragrande maggioranza degli sviluppatori successivi ha totalmente fallito nel ricreare sezioni ad interazione limitata e i QTE sono diventati l’ennesimo espediente abusato dai game designer più pigri e incapaci. Ma vi garantiamo che in Shenmue non era così. Anzi, alcuni rimangono ancora impressi per l’ingegno con cui erano stati costruiti. Lo stesso alla base delle meccaniche di lotta prese di peso da Virtua Fighter, che ancora oggi viene considerato uno dei picchiaduro più completi in circolazione.

E cosa dire del comparto tecnico/artistico del titolo? La resa grafica su Dreamcast è notevole persino a distanza di decenni. La tecnologia usata prevedeva la compressione degli asset in “semi” che si aprivano solo quando serviva in maniera tale da risparmiare una quantità enorme di spazio su disco. Di conseguenza modelli e animazioni eccellevano a dir poco, specialmente per quanto riguarda i volti dei personaggi. Si dice che gli artisti 3D abbiano preso spunto da calchi realizzati appositamente in modo da essere il più fedeli possibile al concept di partenza, riuscendoci alla grande. L’impatto visivo era ulteriormente amplificato dagli sbalorditivi cambi nelle condizioni climatiche che per la prima volta seguivano la proceduralità. Se a questo aggiungiamo una soundtrack di primissimo livello otteniamo un grado d’immersione rimasto pressoché impareggiato da altri open world.

Sì, per quanto la tecnologia sia andata avanti e i mondi virtuali abbiano subito una sostanziale espansione, Shenmue vince ancora. La situazione odierna appare, purtroppo, staticamente degradata. Anziché puntare sulla qualità si preferisce vendere sandbox mastodontici ma vuoti, parchi giochi sconfinati eppure privi di vita ed incapaci di trasmettere alcun sentimento genuino di curiosità. Si antepone la mera bellezza estetica al contenuto, si riproducono città e quartieri con lo stampino, non si incoraggia altro che una rapida occhiata d’insieme al posto dell’esplorazione attenta. Dozzinalità contro ricercatezza. In breve, Occidente contro Oriente. Un vecchio saggio, mettendo a confronto Shenmue e GTA, forgiò un passo da annali del giornalismo videoludico. “In GTA, simulatore di crimine, con un tasto si acquistano le prestazioni di una escort per poi investirla senza pietà; in Shenmue con un tasto si chiedono gentilmente informazioni, si rispettano gli anziani e si ricicla. Invece di consegnarci una città pronta ad essere violentata da ogni orifizio, Shenmue ci invita ad assaporare un mondo in cui le regole vanno seguite e non infrante.” Speriamo che il terzo capitolo segua la medesima filosofia.

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *