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Recensione: The Last Guardian – Simbiosi nella diversità

Dopo aver creato due capolavori come ICO e Shadow of the Colossus, Fumito Ueda è immediatamente divenuto uno dei game designer più amati dell’industria videoludica.
Come molti di voi già sapranno, lo sviluppo di The Last Guardian è stato a dir poco travagliato. Adesso è arrivato il momento di mettere le mani sul prodotto finito, su una console diversa da quella originariamente prevista. Il gioco infatti porta con sé un certo retaggio dell’epoca PlayStation 3, e non è un bene.
A dispetto di numerose mancanze tecnica, The Last Guardian resta concettualmente la summa del lavoro di Ueda, ma anche il meno riuscito. Va trattato con rispetto, ma non bisogna mitizzarlo.

The Last Guardian

Uscita 7 Dicembre 2016
Lingua Italiano
Piattaforme PS4
Versione recensita PS4
Prezzo al lancio 64,99€

The Last Guardian è molto più simile ad ICO che a Shadow of the Colossus. Si tratta infatti di un adventure fortemente incentrato sull’esplorazione e sulla risoluzione di enigmi. Ueda si allontana ancora una volta dai canoni del genere proponendo un gameplay piuttosto originale.
Ai tempi di ICO dovevamo occuparci di mettere in salvo una indifesa Yorda. Questa volta dovremo invece instaurare un rapporto con una creatura selvatica ma intelligente, il gigantesco Trico. A metà fra un grifone e un cane troppo cresciuto, faremo la sua conoscenza nelle prime fasi dell’avventura.

Ci ritroveremo intrappolati insieme a lui in una sorta di gigantesca prigione da cui cercheremo di fuggire.
La trama di The Last Guardian è strutturalmente simile ai precedenti lavori di Ueda, nel senso che parla scrivendo tra le righe. C’è un filo narrativo da seguire, ma parliamo più che altro di un gioco meta-espressivo, dove le ambientazioni, i gesti, la scelta dei colori e i paesaggi comunicano attraverso un impatto visivo potente. Magari non quanto Journey, ma senza dubbio ci sono messaggi ed emozioni che arriveranno a chi è pronto a riceverle.
L’intera narrativa si appoggia sulla struttura ludica e sulla capacità di trascinare il giocatore nel rapporto fra il protagonista e Trico. Lo avevamo sperimentato con la già citata Yorda e, in tempi più recenti, con Elizabeth in Bioshock Infinite. Di tanto in tanto capita che un gioco incentri buona parte del proprio fascino su un rapporto quasi simbiotico tra due personaggi, e The Last Guardian rientra certamente in questa categoria.

Il nostro avatar non è un guerriero ma solo un giovane intenzionato a fuggire. Ci renderemo presto conto di aver bisogno della creatura per riuscire nell’impresa. Tra ambientazioni gigantesche e vie d’uscita altrimenti irraggiungibili, l’agilità, lo slancio e la forza di Trico saranno determinanti. Allo stesso tempo il nostro colpo d’occhio e la possibilità di passare attraverso stretti passaggi risulteranno altrettanto fondamentali per permettere al caro bestione di farsi strada verso una via di fuga. Un rapporto di simbiosi, per l’appunto.

Un gioco d’avventura canonico si limiterebbe a permetterci di cambiare personaggio in base alla situazione. The Last Guardian desidera invece che instauriamo un rapporto con Trico, come fosse un animale da addomesticare.

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Per fare ciò il nostro protagonista cercherà di far capire alla creatura dove andare e cosa sia opportuno fare. Tali tentativi non andranno sempre a buon fine, a volte per mancanza di intesa, a volte per difetti di design. Capiterà di dover ripetere un comando più volte per attirare l’attenzione dell’animale, e questo è comprensibile. O almeno lo è entro certi limiti, non certo quando ci ritroveremo a schiacciare lo stesso tasto indicando qualcosa e venendo puntualmente ignorati della creatura. Capiterà anche di far spalmare il muso di Trico di fronte a un’uscita cercando di fargli capire che deve passare da lì, ma la sua testa si rifiuterà di girarsi nella direzione corretta, costringendoci a cambiare posizione, punto di osservazione o movimento. In pratica l’intelligenza artificiale è a dir poco deficitaria, sembra basarsi su script poco rifiniti. Ueda ha parlato di realismo. Forse lo si può intendere in questi termini, ma ci sono degli eccessi che rendono il tutto davvero frustrante.
Parte della colpa va ricercata nel level design, che propone strade e sporgenze messe lì solo per coreografia. La strada da seguire è una, la soluzione è una. Dobbiamo trovarla, inventare e immaginare non è contemplato. Bisogna giocare nella maniera in cui Ueda vuole che giochiamo, ed è una cosa limitante.
Una più approfondita fase di testing avrebbe senz’altro aiutato a limare parte del problema.
Del resto salire in groppa all’animale è un’esperienza a dir poco coinvolgente. Grazie in particolare alle splendide animazioni, Trico ha una naturalezza invidiabile, risulta credibile, vero. E’ allora un vero peccato che proprio l’intelligenza artificiale spezzi una simile magia a suon di imperfezioni. L’assenza di una fase di polishing adeguata in un gioco del genere va quasi a martoriare il candore e la profondità dell’esperienza.

Nel corso dell’avventura ci scontreremo con un numero crescente di avversari. Il nostro protagonista non può attaccare direttamente, dunque dovremo sfruttare la forza bruta di Trico per salvarci la pellaccia.
Ciò significa risolvere dei piccoli puzzle per permettere all’animale di venire in nostro aiuto. E’ una situazione più estrema rispetto ad ICO, dove avevamo un minimo di potere di attacco. Qui dovremo delegare tutto al nostro animaletto domestico.

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Che si tratti di combattimenti o di esplorazione, un nemico importante è la telecamera del gioco. Purtroppo il team di Ueda sembra essere rimasto nel passato, senza fare bene i conti con le dimensioni di Trico.
Troppe volte capiterà che la creatura vada a coprire il nostro personaggio, bloccandoci la visuale. Nessun problema se ciò avvenisse durante momenti più o meno rilassati, ma purtroppo non è sempre così.
In effetti proprio la telecamera è l’elemento che testimonia con voce più grossa la lunghissima fase di sviluppo del gioco.

The Last Guardian non riesce a raggiungere l’eccellenza nemmeno in campo grafico. Sebbene sia vero che la direzione artistica risulta eccellente, un gran numero di texture sono in bassa risoluzione. Memorie residue di uno sviluppo avanzato su PlayStation 3.
C’è ancora più amaro in bocca allora quando con texture del genere il titolo crolla intorno ai 20 frame al secondo. Le strutture poligonali non sono esaltanti, le bitmap dovrebbero essere leggere, perché cali così evidenti nel framerate? Non si raggiunge l’ingiocabilità, ma i rallentamenti ci sono e si sentono tutti. Il problema si risolve su PlayStation 4 Pro, ma solo giocando a risoluzione Full HD, lasciate perdere il 4K.
A peggiorare ulteriormente le cose c’è un lavoro discutibile svolto sul foliage, affetto da un pop-in marcato e fastidioso. La vegetazione tende ad apparire all’improvviso, il draw distance è basso, sembra indice di qualche problema nella gestione della RAM video.

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In sintesi
The Last Guardian è vittima di problematiche tecniche non indifferenti. La lunghissima fase di sviluppo ha determinato un corposo numero di acciacchi che impediscono al gioco di raggiungere l’eccellenza. Eccellenza che, con una fase di ottimizzazione più accorta, sarebbe stata senza dubbio alla portata del team di Ueda.
Detto questo, il gioco porta con sé la chiarissima firma del suo creatore. L’associazione a ICO e Shadow of the Colossus sarà immediata, come sarà immediato il riconoscimento di un’esperienza maturata nel corso degli anni, e che oggi sembra volere inneggiare alla magia del legame che esiste tra uomo e animale, celebrando un dialogo privo di parole ma fatto di intese che la sola mente non potrebbe mai comprendere.
Valutazione scala 1/10

8.3
+ Affascinante il rapporto con Trico
+ Storia narrata in maniera originale
+ Artisticamente ottimo
+ I puzzle sono progettati molto bene
+ Tanti momenti carichi di tensione
– Tante mancanze tecniche ingiustificabili
– La propositività non paga
– Trico a volte è un imbecille
– Telecamera da rivedere

*Recensione basata su una copia acquistata dalla redazione*

Un commento

  1. Una cosa che non hai citato è la rottura di alcuni canoni tipici dei videogiochi che molti ci portiamo dietro. In 2 occasioni, nelle mie primi 5 ore di gioco mi sono trovata davanti ad azioni da fare che non avevo “considerato”. Ad esempio: un buco troppo piccolo io non l’avevo neanche “visto”, in realtà quello era il posto in cui dovevo andare, stessa cosa per le sbarre larghe, io ho visto una grata e non ho pensato di poterci passare in mezzo, proprio grazie alla dimensione del protagonista!

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