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The Legend of Zelda: Breath of the Wild – Recensione

Così come per The Witcher 3, anche questa sarà per me una recensione molto difficile. Cerco di fare il redattore, ma sono prima di tutto una persona e un giocatore. E da giocatore devo dire che, probabilmente, The Legend of Zelda: Breath of the Wild è il gioco più bello a cui abbia mai giocato. Una frase pesante, forse azzardata dato che l’effetto di capolavori simili si nota solo a distanza di anni. Ciò che per me è assolutamente certo è che questo Zelda andrà immediatamente a far parte della mia cerchia dei titoli più belli di sempre. Va insieme a Shenmue, Faxanadu, F-Zero GX, Chrono Trigger e Chrono Cross, Final Fantasy VI e VII, Xenoblade Chronicles e Xenogears. Va insieme a Ocarina of Time e Twilight Princess. Va insieme a The Witcher 3 e Final Fantasy XI. Sta con Doom, Unreal e Bioshock Infinite.
Ma questi sono solo i miei gusti personali. E se voglio analizzare un gioco con occhio critico dovrei cercare di non tenerli in considerazione.
Dunque facciamo la cosa più sensata che mi viene in mente, e spogliamo Breath of the Wild del suo titolo. Analizziamo questo Zelda facendo finta che non si chiami Zelda. E vediamo quanto vale.

The Legend of Zelda: Breath of the Wild

Uscita 3 Marzo 2017
Lingua Italiano
Piattaforme Switch
Versione recensita Switch
Prezzo al lancio 69,99€

Breath of the Wild è un adventure open world. Breath of the Wild è anche il miglior esempio di open world attualmente sul mercato. Nel corso degli anni il concetto stesso di “open” si è ampliato a dismisura, portandoci in tempi recenti a produzioni colossali. E’ stato il caso di Grand Theft Auto V, The Witcher 3, Just Cause 3, Far Cry e affini. Si tratta in tutti i casi di giochi che offrono mondi esplorabili di grandi dimensioni, così come in Zelda. Qui però esiste una coerenza e una omogeneità che non appartiene ad alcun altro prodotto.
Se Grand Theft Auto delizia offrendo attività secondarie, Breath of the Wild ci offre un mondo ricamato su un lore straordinariamente profondo. Hyrule ha una storia, i suoi personaggi ne hanno una a loro volta, e ciascuno di essi ha un carattere.

Si resta sbalorditi all’idea che Nintendo sia riuscita a confezionare un prodotto tanto ricco e così perfettamente rifinito in appena 4 anni. Perché qui si parla di un’opera mastodontica.
Non è la prima volta che incontriamo un lore evoluto e coerente, basti pensare al già citato The Witcher 3 o a Final Fantasy XV. Il primo peccava però di una certa ripetitività nelle quest, era afflitto da glitch fisiologici quando si parla di mondi di queste dimensioni, chi ha giocato Fallout o The Elder Scrolls lo sa benissimo. Entrambi i prodotti si concentravano sulla narrazione piuttosto che sulla componente ludica vera e propria. The Legend of Zelda: Breath of the Wild fa esattamente la cosa opposta.

La profonda caratterizzazione grafica e sonora dei personaggi crea degli stereotipi intriganti di per sé, come da tradizione per questa serie. Non ci sono NPC, ci sono “personaggi”. Non mi è mai successo di pensare “devo portare questo oggetto a un tizio lì”. Sapevo chi era il tizio in questione, ne avevo chiara la fisionomia, ricordavo dove si trovasse. Tutti i personaggi secondari hanno qui uno spessore che Zelda garantisce dai tempi di Ocarina of Time. Gli incontri, siano essi con umani, zora o qualsiasi altra razza hanno sempre un che di coinvolgente. E’ un valore aggiunto che non avevo mai riscontrato in nessun altro prodotto.

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Vestiremo come sempre i panni di Link, la storia generale è sempre la solita “bene contro male”. La trama è stata tuttavia sceneggiata in maniera soddisfacente, ed è quasi specchio della natura open del prodotto. Per dirlo in due parole, in Breath of the Wild non siete obbligati a fare nulla. Comprate il gioco, lo avviate, fate quel paio d’ore necessarie a raggiungere i requisiti minimi, poi se volete potrete lanciarvi verso il boss finale. Non ci sono imposizioni di alcun tipo, è un mondo a vostra disposizione. Ecco dunque che ha senso una storia in divenire, dove una miriade di personaggi si dedicano alle proprie faccende e le vite degli NPC possono intersecarsi o meno con la vostra avventura.
Non c’è l’epicità né la maturità di The Witcher, ma Breath of the Wild offre senza dubbio una trama piacevole.
Per la prima volta in questo franchise potremo ascoltare dei veri e propri doppiaggi (Link escluso). In Italia Nintendo si è rivolta a nomi importanti, i risultati sono buoni con alcuni personaggi, tristissimi con altri. Ottima Zelda, mentre Impa è praticamente la nonna della pubblicità dell’Ace. Per qualche motivo si è poi scelto di violentare Hyrule, che i personaggi pronunceranno come “Irule”. Ho urlato, e se avessi avuto un pad lo avrei conficcato nella console. I joycon sono stati una saggia decisione, Nintendo.

Link non si controlla come nei precedenti Zelda. Per la prima volta potremo saltare, il che è quanto dire. Potremo arrampicarci su quasi tutti i tipi di superficie, nuotare, andare a cavallo e ovviamente combattere.
E’ dunque un invito a salire sugli alberi per raccoglierne i frutti, a scalare le montagne alla ricerca di segreti. A patto che il gioco non decida che c’è maltempo.
In Breath of the Wild c’è ovviamente un meteo dinamico, e per qualche motivo piove spesso. Ora, la pioggia ha un senso perché permette la comparsa di certi animali, scatena i fulmini, attutisce i suoni e ci dà una mano con le fasi stealth. Fin qui tutto bene. Il problema è che l’acqua ci impedisce di arrampicarci, le superfici diventano scivolose. E’ sensato, non fa una grinza, c’è poco da discutere. Ma è anche del tutto inutile ai fini del gameplay e dell’immersività. E’ assolutamente frustrante ritrovarsi ad esplorare le montagne cercando un passaggio sicuro, facendo del nostro meglio per ottimizzare la scarsa stamina a disposizione e venire poi interrotti bruscamente perché il gioco decide che deve piovere. A quel punto potremo solo aspettare che passi, girandoci i pollici per dieci o più minuti. Non ha alcun senso.
C’è chi parla di realismo, c’è chi dice “il nuovo Zelda è un survival”, la gente dice di tutto. Io non sono nella testa di Aonuma e soci, ma so per certo che sono un giocatore, e quando un gioco mi impedisce di giocare mi girano i coglioni. Non è diverso dalla manutenzione di un server o da un attacco DDOS. Si tratta di una interruzione del servizio, tra l’altro non per una causa esterna ma per puro design. Apple direbbe “non è un difetto, è una feature”. Io non concordo.

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Tempo permettendo, l’esplorazione ci porterà attraverso terre diversissime e affascinanti, offrendoci dei panorami mozzafiato. Per quanto Switch e Wii U siano console poco performanti rispetto alla concorrenza, la direzione artistica di Breath of the Wild è straordinaria, e tampona ampiamente le mancanze in termini di risoluzione, poligoni e texture. Non c’è bisogno del cel shading, qui ci si sente all’interno di uno splendido cartone animato. Le luci, i movimenti dell’erba, il vento che soffia, i riflessi sull’acqua, ogni cosa è incantevole. C’è tra l’altro una distanza di rendering impressionante, che ci permette di guardare a perdita d’occhio in tutte le direzioni.
Tutto ciò ha un prezzo, e il conto è salato. Ho giocato a Breath of the Wild sia su Switch che su Wii U, e non è stato sempre piacevole. Ci sono parecchi cali di framerate su entrambe le console, che possono avvenire in combattimento o durante le esplorazioni. Non è un problema costante, ma è frequente, e quando avviene è molto fastidioso. Parliamo infatti di un gioco pensato per girare a 30fps, quando ci sono i rallentamenti si scende a 20. Lo noterete anche se non siete degli esperti, la fluidità e la reattività ai comandi ne risentono parecchio.
La soluzione migliore è optare per la modalità tablet di Switch, dove tutto è molto più fluido. Anche in questo caso capita di incontrare degli sporadici cali di framerate, ma sono tollerabilissimi. La maggior parte si concentra nell’area di Kakariko (Calbarico in italiano), dunque nulla di terribile ai fini del gameplay. Se avete un occhio particolarmente allenato o siete abituati a giocare su PC vi consigliamo di evitare di giocare in modalità docked. Ad ogni modo, tra Wii U e Switch docked non c’è alcuna differenza in termini di rallentamenti, cambiano solo le zone interessate.

Nintendo deve amare i giochi Ubisoft, ed ha ritenuto opportuno inserire le torri radio di Far Cry all’interno di Zelda. Ok, non è esattamente così, chiariamo. Per ottenere la mappa di una determinata area sarà necessario scalare delle altissime torri da cui avere una panoramica del posto. Una volta in cima, Ezio Audit… *coff coff* Link userà la propria tavoletta Sheikah per registrare la mappa del posto. In Far Cry c’erano degli elementi platform molto gradevoli durante la scalata, qui si tratta di salire, magari evitando dei rovi strada facendo. E’ noioso e ridondante, bastavano delle scale.
Una volta in cima sarà poi il caso di dare un’occhiata in tutte le direzioni alla ricerca di eventuali santuari. Ricordate i vecchi, straordinari dungeon di Zelda? Bene, dimenticateli.
In Breath of the Wild non ci sono dungeon nel senso tradizionale del termine. Esistono una miriade di santuari che fanno da mini-dungeon e 4 presunti dungeon che in realtà sono solo degli stanzoni con dentro alcuni puzzle. In termini di design siamo anni luce indietro rispetto a qualsiasi altro capitolo della serie. Il livello di sfida è estremamente basso, gli enigmi verranno risolti quasi sempre senza battere ciglio. Sì, sono tantissimi, ma qui si dà la precedenza alla quantità piuttosto che alla qualità. Tutti i principali strumenti di Link saranno inoltre forniti nella prima ora del gioco. Non ci ritroveremo dunque ad affrontare un dungeon per trovare un oggetto e sfruttarne le meccaniche in maniera approfondita. Avremo quasi tutto e quasi subito, e la varietà è decisamente scarsa.
Questo è il principale motivo per cui ho difficoltà a identificare questo Zelda come un vero e proprio Zelda.
I dungeon e il loro straordinario design sono sempre stati a mio parere la più grande eccellenza di questo franchise. In apertura ho detto che avrei cercato di valutare questo prodotto per quello che è, rimuovendo il nome Zelda dal titolo. Non considererò la mancanza dei dungeon tra i difetti, ma da amante del franchise mi fa soffrire. Date a questa informazione il peso che ritenete allineato con le vostre aspettative.
Ogni quattro santuari completati potremo ricevere un potenziamento a scelta tra HP e stamina.
I boss mi hanno deluso: sono semplici, facili da sconfiggere, meno pericolosi rispetto a buona parte degli avversari che troveremo in giro per il mondo. Non pretendo per forza combattimenti epici come quello finale di Wind Waker, né impegnativi come le due streghe di Ocarina of Time, né adrenalinici come quel coso sui rulli di Twilight Princess. Ma viviamo nell’epoca di Nioh, Dark Souls e Bloodborne, dove i boss godono di meccaniche spesso eccelse. Dite che sono generi diversi? Ok, che mi dite allora di Darksiders? Okami? Cavolo ci potremmo mettere dentro anche Shadow of the Colossus.

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Il sistema di combattimento riveste ancora un ruolo fondamentale in questa produzione, e purtroppo è lontano dalle eccellenze di Twilight Princess.
Cominciamo parlando dei joycon, scomodissimi per controllare il personaggio durante gli scontri. Il pollice destro fa fatica a gestire lo stick analogico, le mani si stancano, tendo ad avere dolori dopo un’ora di gioco. Tutto ciò utilizzando Switch in modalità tablet. Su Wii U è invece tutto perfetto, il posizionamento dello stick destro sopra i pulsanti è molto più sensato.
C’è un feedback poco felice riguardo le schivate. Saltare di lato o all’indietro mentre abbiamo il target agganciato su un avversario è molto meno fluido rispetto al passato, tanto che in molti frangenti preferirete affidarvi alla corsa o allo scudo. Consigliamo tra l’altro di modificare l’impostazione standard dei pulsanti, che permette di saltare alla pressione di X. E’ più immediato con B, a nostro parere.

La gestione delle armi e dell’equipaggiamento è un’altra nota dolente. Sia gli scudi che le armi presenti in Breath of the Wild vanno incontro a usura. Il concetto è lo stesso visto in prodotti come Dark Souls, può piacere o meno. Se l’idea non è per forza di cose atroce, la maniera in cui è stata implementata rende tutto frustrante. Per buona parte dell’avventura avremo infatti a che fare con armi che si distruggeranno nel giro di pochi colpi. In genere non si va oltre la decina di attacchi, può essere bastevole per uccidere il nemico, ma non sempre. Troppo spesso ci ritroveremo dunque a dover interrompere il combattimento perché la nostra arma si rompe, aprire il menù rapido e selezionarne un’altra. Tale menù è però piuttosto scomodo. Vi si accede schiacciando destra sul D-pad, quindi dovremo interrompere il nostro movimento per un istante. Nella foga della battaglia non è il massimo. Avrebbe avuto molto più senso permettere di cambiare arma al volo passando alla successiva come in molti FPS, piuttosto che costringerci a una selezione che interrompe il fluire dello scontro.

La fragilità delle armi determina la necessità di affidarsi a quanto otterremo dagli avversari sconfitti. A parte infatti oggetti da craft e rivendibili, i mostri perderanno anche le armi. Sarà buona regola tenere l’inventario sempre ricco di opzioni. Naturalmente tutto ciò significa che dovremo arrangiarci con quello che abbiamo, dunque non potremo aspettarci di usare a ripetizione la spada o la lancia se queste saranno di nostro gradimento. Ci ritroveremo ad usare clave, mazze a due mani, braccia di scheletri, zappe e forconi.
Secondo molti questo è un modo per garantire varietà al sistema di combattimento, invitandoci ad usare armi diverse. A mio parere non si sta invitando a fare nulla, si sta costringendo a usare armi che magari non ci divertono. Nella mia personale esperienza ho sempre utilizzato nell’ordine le armi col danno più basso, in maniera tale da preservare quelle forti per gli scontri più impegnativi. C’è una costante paura di danneggiare e rompere gli strumenti in nostro possesso, e non è divertente. Sapere che con un arma non riuscirai a infliggere più di una decina di colpi mette ansia, ti spinge a non utilizzarla per gli avversari comuni. Vi dirò di più, un sacco di volte mi sono ritrovato a ripiegare sulle bombe per non danneggiare le mie armi. Una bella corsa con i nemici alle spalle, una bomba piazzata di fronte a me e la detonazione al momento giusto. Non è proprio il massimo, ma è l’unico modo per non mandare in frantumi spade e katane.

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Avanzando nel gioco la situazione migliora progressivamente, otterremo armi sempre più resistenti. Le otterremo paradossalmente quando saremo più forti, quindi ne avremo anche meno bisogno. Alcune possono inoltre essere riforgiate, ma il processo richiede un farming eccessivo, lo abbiamo utilizzato poche volte.
La Master Sword è l’unica arma di Breath of the Wild che non è possibile rompere. Per ottenerla sarà però necessario avere un minimo di 13 cuori. Se moltiplicate questo numero per la quantità di sacrari necessari otterrete 40 mini dungeon. Se realisticamente aggiungete quei 4-5 upgrade alla stamina di cui avrete un disperato bisogno il numero sale a quasi 60 dungeon.
Tutto ciò per avere una spada con danno elevato e infrangibile, certamente ne vale la pena. Ma anche la Master Sword ha i suoi limiti, e dopo un certo numero di utilizzi dovremo lasciarla riposare. Altre attese in pratica, ma almeno non va in frantumi.
Riassumendo, l’intero sistema dell’usura è a mio parere non solo superfluo, ma anche fastidioso e limitante. Voglio giocare a un adventure, non essere costretto a usare una zappa per picchiare un nemico.

Messe da parte le armi corpo a corpo, il nuovo Zelda si apre a tante nuove, splendide possibilità. Archi e boomerang saranno già perfettamente noti dagli amanti della serie, ma qui è la fisica il nuovo protagonista. Link potrà sfruttare il vento per incendiare l’erba e lasciare che le fiamme si propaghino fino a raggiungere i nemici. Ci saranno rocce da lasciar scivolare giù da slavine e che potranno rovinare sugli accampamenti dei mostri. Ci sarà la notte e le possibilità offerte dalle fasi stealth, con Link che procede accucciato per non fare rumore. Non mancano poi barili incendiari, da colpire magari con una freccia infuocata per far partire reazioni a catena.
Osservare gli accampamenti dalla distanza e valutare uno schema di attacco efficace diventerà la norma. Ed è molto gratificante.

L’ultima critica che mi sento di rivolgere al gioco riguarda la colonna sonora, mediocre nel migliore dei casi. Dimenticate la geniale creatività di Koji Kondo, Breath of the Wild è prevalentemente composto da effetti sonori. Le nostre esplorazioni non hanno alcun tema musicale, una novità per il franchise, una di quelle che non ho amato.
E’ tutto silenzioso, ed è un vero peccato. Tra la miriade di momenti che Breath of the Wild ha scolpito nella mia memoria di videogiocatore nessuno era accompagnato da musica.
Dopo che The Witcher 3 mi ha accompagnato per le lande di Skellige su queste note non riesco a capire come Nintendo abbia potuto rinunciare all’eredità e alla maestria di Kondo in nome di un silenzio che lascia amareggiati. Avrei preferito di gran lunga un altro Zelda senza doppiaggi, piuttosto che uno senza musiche.

In sintesi

The Legend of Zelda: Breath of the Wild è probabilmente il gioco più bello a cui abbia mai giocato. Mi ha offerto un mondo fantastico in cui immergersi è stato assolutamente naturale, spontaneo e irrinunciabile. Qui c’è una grande, poetica bellezza. Ed è bene capire che questo fascino non deriva dal nome altisonante del gioco, ma da una qualità che c’è e che prescinde da ogni cosa. La coerenza, la coesione, la magia tra quelle migliaia di righe di codice, gli affondi con la spada, la cavalcata verso il tramonto, quel fiore raro, decine e decine di momenti vissuti in questo gioco andranno a scolpirsi impietosi nella vostra memoria di videogiocatori. Non avrebbe senso resistervi.

Detto questo, il gioco è lungi dall’essere perfetto. C’è un enorme spazio per il miglioramento nella gestione dell’armamentario, nella colonna sonora, nei bilanciamenti, nel design dei puzzle e dei dungeon. Breath of the Wild è un open world di altissima qualità, ma non è uno Zelda altrettanto eccellente. Qui non troverete né dungeon né puzzle in stile Water Temple, non ci saranno i pezzi di Koji Kondo ad accompagnarvi nelle esplorazioni, la strategia dei combattimenti si infrangerà sulla ridicola fragilità delle vostre stesse armi. Mancano tanti elementi caratteristici di Zelda, elementi che amiamo.
Questo gioco resta straordinario, la maggior parte di voi lo amerà alla follia. Ma per quanto io possa considerarlo sublime non posso ignorarne le mancanze. Osserviamo con i nostri occhi, ragioniamo con la nostra testa. Diamo a Cesare quel che è di Cesare, ma ricordiamo che i nomi sono solo nomi.

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