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Prey – Recensione

Se avete giocato al precedente Prey sulla passata generazione potete anche dimenticare tutto. Questo non è un seguito né un reboot, ma una totale reinterpretazione del franchise.
Il nuovo lavoro di Arkane Studios ricorda molto da vicino alcuni classici illustri, tra cui sicuramente il primo Half-Life, ma anche System Shock e lo stesso Dishonored. Sono tutti nomi importanti, va da sé che il progetto sia piuttosto ambizioso. Il rischio in questi casi è di miscelare tutto in un grande frullatore senza riuscire a trovare una propria identità.
Fortunatamente in questo caso le cose non sono andate così.

Prey

Non sarebbe corretto definire Prey un first person shooter. Sì, abbiamo armi e visuale in prima persona, ma il sistema di gioco non è incentrato sui combattimenti.
Il gioco ci mette nei panni di una sorta di Gordon Freeman, un uomo (o donna) privo di preparazione militare che si ritrova in una situazione assurda, con tanto di invasione aliena da affrontare e se possibile eliminare prima che sia troppo tardi.
L’impostazione risulta più simile a quella di un adventure in prima persona. Ci sono parecchi elementi stealth e si respira una tensione evidente, quasi da horror. Da questo punto di vista siamo sulle stesse pagine del bellissimo System Shock.

I primi minuti sono molto interessanti, ci pongono in una situazione di estrema emergenza spiegandoci poco.
Ci troveremo sulla stazione spaziale orbitante Talos I, per qualche motivo infestata dai Typhon, organismi alieni particolarmente aggressivi che uccidono e corrompono altre forme di vita. L’equipaggio non se la passa particolarmente bene, dunque toccherà a noi diventare gli eroi della situazione.
Il buon incipit si perde purtroppo in un bicchier d’acqua, la trama non riesce a rimanere incalzante. Il problema è che le iniziali premesse non vengono accompagnate da una sceneggiatura all’altezza, sia in termini di ritmica che di chiarezza. C’è una certa confusione, causata in particolare dalla pletora di informazioni secondarie da cui verremo sommersi. Durante le nostre esplorazioni di Talos I potremo accedere a un gran numero di terminali sbirciando tra le email. Allo stesso modo, i nostri occhi si poseranno spesso e volentieri su documenti sparsi un po’ ovunque. Tutto ciò permette un netto approfondimento di lore e personaggi, ma la qualità dei testi (in particolare delle mail) è spesso mediocre. Capiterà con eccessiva frequenza di avere a che fare con conversazioni vuote, del tutto inutili. Queste non aggiungono assolutamente nulla all’esperienza, sono triviali, una perdita di tempo. Purtroppo sarà necessario leggere parecchia roba ridondante se vorremo arrivare anche ai contenuti più interessanti. Gli scambi migliori sono per questo motivo centellinati, nascosti sotto miriadi di email che dovremo sorbirci per forza. E’ un chiaro esempio di quantità che compromette la qualità. Manca una narrativa di alto livello in stile Bioshock, e considerato lo stile da vendere rimane parecchio amaro in bocca.
Prey offre due finali piuttosto diversi. L’esito dell’avventura dipenderà dalla maniera in cui ci comporteremo con alcuni superstiti incontrati durante il viaggio. Non aggiungeremo altro per evitare spoiler.

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Le meccaniche vere e proprie pongono grande enfasi sull’esplorazione.
In qualsiasi momento potremo aiutarci con la mappa impostando obiettivi primari e secondari. Degli indicatori a schermo ci mostreranno orientativamente le diverse mete, senza essere troppo chiari sul percorso da imboccare. E’ una precisa scelta di design, perché la progettazione degli ambienti è con ogni probabilità l’elemento migliore della produzione.
Prey offre più modi per arrivare agli obiettivi. Dover attraversare una porta chiusa potrà significare cercare una chiave per aprirla, forzarla o trovare una via secondaria. Proprio i sentieri alternativi sono stati inseriti nella mappa in maniera intelligente. Esistono condotti d’aerazione, pannelli da aprire per entrare nelle cabine elettriche, piattaforme da sfruttare per calarsi dai tetti e tantissimo altro. Gli sviluppatori hanno messo a nostra disposizione tante alternative, trovarle diverte e gratifica.
Come se ciò non bastasse, Prey ci mette in mano un’arma che apre un infinito ventaglio di possibilità: la GOO Gun. E’ una sorta di cannoncino che spara un materiale colloso che si solidifica istantaneamente (sì, detto così fa pensare ad altro). Potremo certamente usarlo per rallentare e bloccare i nemici, ma anche per costruire delle vere e proprie strade alternative, magari una scalinata che sale per un muro, magari una rampa per saltare più in alto. Fa un po’ Minecraft, dà un senso di libertà straordinario. Oltre alle numerose possibilità offerte dal level design, proprio la GOO Gun contribuisce a restituire un pizzico di vena sandbox che non guasta affatto. La creatività sarà dunque un’arma importantissima.

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I nemici in cui ci imbatteremo sono sufficientemente variegati, risultano sempre insidiosi. Sia gli headcrab di Half-Life che i face-hugger di Alien hanno fatto scuola, Prey non ne fa segreto. I Mimic sono le prime creature che incontreremo: sono dei nope neri, veloci, arrabbiati e stronzi. La maniera migliore per affrontarli è in genere rallentarli con la GOO Gun e prenderli a sprangate sui denti. I Mimic hanno questo nome perché possono trasformarsi in qualunque oggetto di uso comune per nascondersi alla vista. Tazze, mele, bucce di banana, schifezze di qualunque tipo: in Prey bisogna tenere gli occhi aperti.
L’intelligenza artificiale mi è sembrata comunque piuttosto deficitaria anche ai livelli di difficoltà più elevati. Ok, si tratta di una razza aliena, non sappiamo quanta materia grigia possano avere, ma il modo di attaccare è sempre fin troppo prevedibile. Diventa un gioco di coperture, movimenti e precisione, non ci sono tattiche di alcun genere. Continuano a mancarmi quei dannatissimi marine di Half-Life.
Quando un avversario ci prenderà di mira riceveremo un segnale sonoro e potremo contare su un indicatore di direzione. La tensione sarà costante, muoversi attraverso Talos I potrà essere un’esperienza davvero intensa. Le munizioni infatti scarseggiano, e affrontare gli alieni più duri a colpi di GOO Gun e spranga di ferro non è la cosa più saggia del mondo.
Anche da questo risulta chiarissimo che il gioco sia stato sviluppato pensando a mouse e tastiera come sistema di controllo primario. Colpire i Mimic con la pistola utilizzando lo stick analogico è a dir poco impegnativo, tanto che in più casi ho dovuto ridurre il livello di difficoltà.
C’è un minimo di scelta in fatto di armi, ma lo scontro diretto non è quasi mai la soluzione migliore. Qui si premia infatti un approccio più ponderato, affrontando un avversario alla volta, sfruttando le torrette alleate per un po’ di fuoco di copertura e – quando possibile – ricorrendo allo stealth e passando senza farsi notare.
Il cuore del gioco è l’esplorazione, tanto che a volte mi sono un po’ sentito Joel di The Last of Us nella maniera di andare in giro a raccogliere cianfrusaglie in tutti gli anfratti di Talos I.

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C’è un sistema di progressione e di potenziamento piuttosto valido, vagamente riconducibile agli innesti di Deus Ex. L’idea è che i ricordi e le abilità possono essere trasferiti da persona a persona. In giro per la stazione troveremo le Neuromod, unità che ci permetteranno di ottenere skill addizionali. Ciascuna abilità sullo stesso ramo ha un costo incrementale progressivo.
Procedendo nel gioco diventeremo in grado di apprendere anche le abilità dei Typhon, sacrificando però parte della nostra umanità. E’ più o meno lo stesso dilemma affrontato da Adam Jensen in Deus Ex.
Per quanto potremo dunque diventare più forti ed espandere le nostre possibilità, iniettarci in un occhio sostanze aliene farà sì che i sistemi di sicurezza di Talos I non riescano più a vederci come umani, finendo per attaccarci senza pietà. Poco male se intanto svilupperemo anche le nostre capacità di hacking.

Passando alla grafica, il colpo d’occhio di Prey è piacevole ma non spettacolare. Il design è buono, ma dopo una decina di ore si nota una certa ripetitività ambientale. In generale i grafici hanno svolto un lavoro soddisfacente. Le locazioni sembrano una sorta di versione luminosa di System Shock, quasi venissero dal passato. Creano un contrasto forte e particolare, sottolineato anche dalla colonna sonora, che nella intro attinge a piene mani dagli anni ’80. Fa molto Drive, il film con Ryan Gosling.
Ci sono alcune mancanze tecniche, in primis un deciso stuttering quando cambieremo zona. L’elemento più fastidioso è legato ai tempi di caricamento, davvero lunghissimi. Immagino che su PC la situazione sia nettamente migliore grazie agli SSD, ma su PlayStation 4 si tratta di aspettare minuti interi. Non è una bella cosa.
Un po’ di delusione per il mixing dell’audio, con le voci che mantengono un volume troppo basso rispetto al resto. In italiano i risultati sono decenti, ma in inglese siamo proprio su altri livelli.

In sintesi

Prey è un’avventura in prima persona camuffata da shooter. La storia non mi ha catturato come avrei voluto, e considerate le ottime premesse è un peccato. In ogni caso setting e situazione tengono abbastanza vivo l’interesse, compensando almeno in parte ai cali nella sceneggiatura. La generale longevità è più da adventure che non da shooter, offrendo circa una ventina d’ore d’intrattenimento di buona qualità. Ci sono tra l’altro due finali, la rigiocabilità è soddisfacente.
Più di tutto, Prey sorprende per l’ottimo level design, che consente una straordinaria libertà d’azione. Questa viene accompagnata dalla GOO Gun, arma che otterremo all’inizio del gioco e che ci consentirà di modificare letteralmente lo scenario in puro stile Minecraft. Secondo alcuni non è rivoluzionaria come la Portal Gun, io mi permetto di dissentire.
Il sistema di progressione del personaggio non aggiunge nulla di nuovo, ispirandosi palesemente a Deus Ex. La rosa di abilità che potremo apprendere è comunque interessante, mette tanta carne sul fuoco.
Peccato per i lunghissimi tempi di caricamento e per qualche incertezza tecnica.
In definitiva, se apprezzate giochi come Half-Life, System Shock o Bioshock, Prey è senza dubbio un acquisto consigliato.

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