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Le Controversie di Electronic Arts: chiusure, IA e furbate in Borsa

Electronic Arts è un po’ come il capo in ufficio. Ricco, avido, odioso e augurargli dei malanni ti abbassa lo stress. Chi parla di Electronic Arts e delle sue controversie in pubblico, solitamente lo fa associandola alla materia organica anfibia, destino condiviso ormai da anni con gli amici di Fuffisoft. Ed è cosa buona e giusta. Ne hanno combinate talmente tante che togliersi di dosso la fama di briganti e filibustieri ha dell’impossibile. Eppure, eppure… c’è qualcosa che non torna. Come fa un’azienda ad essere così odiata dal pubblico, circondata da controversie ogni 3×2 e rimanere a galla, anzi prosperare? Ad oggi, infatti, Electronic Arts si presenta come uno dei publisher economicamente più solidi in circolazione, con un +17% nel valore delle azioni su base annua. Se volessimo fare un confronto numerico, vedremmo che EA vale 131€ ad azione mentre SEGA e Capcom sotto i 30. Come mai? Beh, in sostanza EA non è più un publisher nel senso classico, ma una macchina finanziaria che sfrutta il medium videoludico per massimizzare il ritorno per gli azionisti. Ogni scelta produttiva, creativa e commerciale viene subordinata a questa logica.

Non so se avete sentito le più recenti controversie, ma negli ultimi tempi Electronic Arts ha continuato imperterrita a fare quel che sa fare meglio: chiudere roba. Freschissima la news sulla cancellazione del gioco su Black Panther con annessa chiusura di Cliffhanger Games dopo ben 4 anni di pre-produzione. Sembra che persino i dipendenti dello studio siano stati colti alla sprovvista dalla decisione, visto che stavano addirittura assumendo altra gente. E considerata la risma di chi lavorava già al progetto, confesso di non essere molto sorpreso. Insomma, tra narrative designer ossessionate dall’attivismo queer, oltre che apertamente razziste verso i bianchi, senior writer che odiano i giocatori facendo comunella con feccia tipo Alyssa Mercante e development manager che poco prima lavoravano in Starbucks… eh. Non è che le ragioni per essere fiduciosi cadessero dagli alberi.

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Chissà, forse dopo Dragon Age Viola e tutte le controversie correlate Electronic Arts avrà imparato qualcosa? Possibile. Il problema è che ad andare a casa non sono solo gli incompetenti ma anche gente talentuosa. In un anno sono state licenziate oltre 1000 persone, tra cui centinaia di membri di Respawn al lavoro su un nuovo Titanfall e un FPS di Star Wars, entrambi cestinati. Ciò ha causato un crollo nel morale all’interno di EA, con sviluppatori che esprimono pubblicamente il loro disappunto con frasi tipo “mi spiace per tutti quelli che vorrebbero creare giochi fighi in questa industria”. Di certo non puoi farlo in un’azienda come Electronic Arts. Non da diversi anni. Perché non sia mai che a gioire siano quei cavernicoli degli utenti hardcore. Bisogna invece puntare al pubblico moderno, casual, snaturando serie storiche e trasformandole in delle pagliacciate prive di qualsivoglia visione artistica. Salvo poi floppare malamente.

E come se ne esce EA? Tagliando costi e teste. Perché, stando alla CFO Laura Miele, devono “concentrare la loro energia creativa sulle opportunità di crescita più significative”. Puntare, dunque, sulle galline dalle uova d’oro chiamate Battlefield, The Sims, Skate e Apex Legends. EA Sports fa parte di un’altra divisione e ne parleremo dopo. Per il momento mi preme evidenziare i franchise appena citati. Battlefield non è in uno stato di forma smagliante, anzi le ultime uscite sono state abbastanza scadenti e la fiducia del pubblico verso il prossimo capitolo, Labs, non mi pare altissima. The Sims è un successo, lo è sempre stato. Ma il successore di The Sims 4 sarà quasi certamente un multiplayer free to play, suppongo infarcito di micro-transazioni. Lo stesso dicasi per il reboot di Skate, a cui gli acquisti in app sono stati aggiunti già durante la fase di closed alpha. Infine Apex Legends, in forte declino da almeno un anno a questa parte, con un calo dell’utenza del 70%, del 40% nei ricavi e una marea di critiche da parte dei giocatori. In pratica, il piano di EA verte su 4 live service dal tasso di flop non proprio trascurabile.

Ma niente paura, c’è sempre l’intelligenza artificiale! È il futuro, no? Ce lo dicono tutti, anche il TG5. Figuriamoci se Electronic Arts rimane indietro, quando c’è spazio per affogarsi dentro nuove controversie. Il CEO Andrew Wilson ha infatti affermato che l’IA è “il fulcro del nostro business” e che l’azienda intende utilizzarla per rivoluzionare lo sviluppo dei videogiochi, migliorando l’efficienza, espandendo le possibilità creative e trasformando l’esperienza dei giocatori. E non sono chiacchiere fumose. L’anno scorso hanno presentato “Imagination to Creation”, uno strumento basato sull’IA generativa che consente agli sviluppatori di creare contenuti di gioco come asset e ambientazioni tramite semplici comandi testuali. Alla scorsa GDC, hanno poi mostrato dei toolkit basati su IA dedicati a pathfinding, animazioni e texture. Il PR ha annunciato fieramente che “accelerando, espandendo e dando maggiori possibilità a progetti storicamente ad alta intensità operativa, i nostri talentuosi team di sviluppo sono ora in grado di concentrarsi sulle aree chiave: l’esperienza, le innovazioni, gli aggiornamenti di gioco e molto altro.”

Traduzione: velocizziamo tutto e tagliamo i costi, così che i nostri talentuosi team di sviluppo possano concentrarsi sul portare a spasso il cane ogni giorno alle 9:00, senza la necessità di doversi recare in ufficio e fotterci lo stipendio. E attenzione, non sono i soli a pensarla così. Activision Blizzard è quella che lo palesa maggiormente, ma anche Take Two, Ubisoft, Sony e Capcom ne stanno facendo un larghissimo uso. Tutta l’industria in realtà. E mentre continuano a tagliare i costi licenziando gente per sostituirla con robot, i prezzi dei videogiochi salgono imperterriti. Dei milioni risparmiati al consumatore non arriva nulla. Ora, a onor del vero EA è una delle poche aziende che per il momento non sta puntando sulla strategia predatoria sdoganata da Sony e Nintendo. Le vendite a prezzo pieno sono ormai marginali (circa il 27%) e il resto proviene dall’enorme macchina dei live service. La scelta di non aumentare i prezzi non esiste per farci un favore ma perché cannibalizzerebbe servizi decisamente più redditizi dei 70€ una tantum.

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E chi gli consente di mantenere tale strategia è nientepopodimeno che EA Sports, la divisione più importante di tutta l’azienda. Secondo gli ultimi report finanziari, genera oltre la metà delle entrate annuali di EA. Il vecchio FIFA, ora EA Sports FC, ha fruttato quasi 1,8 miliardi di dollari nel solo anno fiscale 2024. Il grosso arriva da Ultimate Team, che ogni anno diventa sempre più avido e svergognato con i suoi meccanismi da gacha (le famose surprise mechanics) che fanno sembrare convenienti persino i giochi mobile cinesi. Il peso di EA Sports è ancora più evidente se si confronta con le altre aree operative dell’azienda. I giochi narrativi come Split Fiction o il fallimentare Immortals of Aveum incidono in modo trascurabile sul bilancio globale, rappresentando meno del 10% delle entrate. Apex Legends e Battlefield portano circa il 20-25%, ma stanno affrontando un calo evidente in termini di interesse e rendita. In confronto, EA Sports rappresenta un flusso stabile e prevedibile di profitti, grazie a un pubblico di gonzi fedeli e una formula annuale che richiede zero rischi creativi.

Se EA Sports dovesse subire un calo significativo, l’impatto sull’azienda sarebbe devastante. Basti vedere cos’è successo con FC 25, che ha venduto meno del previsto causando un crollo delle azioni di EA del 16,7%, il peggiore dal 2008. Mentre la perdita di un gioco come Apex Legends o il fallimento commerciale di un Dragon Age Viola può essere assorbito, il crollo di EA Sports comprometterebbe metà del bilancio annuale e metterebbe a rischio la stabilità finanziaria dell’intera compagnia. Il valore delle azioni, che oggi resta sorprendentemente stabile anche in presenza di tagli e cancellazioni, si basa in larga parte proprio su questo segmento. Senza EA Sports, Electronic Arts farebbe la fine di Ubisoft.

Tutto ciò però non spiega ancora al 100% come mai Electronic Arts, a dispetto di tutte le controversie, valga più di Nvidia in Borsa. La risposta è semplice. No, scherzo. È roba da lupi di Wall Street. Ma proverò comunque a spiegarvelo. Vedete, il valore azionario di Electronic Arts oggi non riflette pienamente la salute organica dei suoi affari, ma si basa su precisi magheggi finanziari. Nonostante la miriade di licenziamenti, tagli di progetti e un calo generalizzato delle vendite, il caro Androide Wilson è riuscito a mantenersi non solo stabile ma persino in crescita. Come fa? Investe pesantemente in riacquisti di azioni proprie. Solo nell’anno fiscale 2024-2025 ha speso 2,5 miliardi di dollari per ricomprarne una piccola frazione, di cui 1,3 miliardi solo negli ultimi tre mesi.

Il riacquisto di azioni serve a ridurre l’offerta complessiva di titoli sul mercato, cosa che può farne salire artificialmente il prezzo anche se l’azienda non ha fondamenta stabilissime. A questo si aggiunge un dividendo trimestrale stabile (19 centesimi per azione), che fornisce un incentivo costante agli investitori. Il dividendo, per chi non lo sapesse, è un importo distribuito dalla società agli azionisti a titolo di remunerazione del capitale investito. Seguendo l’esempio di Apple e Microsoft, EA paga dividendi trimestrali vantaggiosi, cosa che pochi publisher videoludici fanno, specialmente in Giappone. Questo ovviamente attira investitori istituzionali alla ricerca di rendimento sicuro e rende EA una sorta di “blue chip” del gaming occidentale.

Al contrario di aziende come SEGA e Nintendo, che crescono soprattutto grazie alla qualità e al successo dei giochi pubblicati, EA dipende quasi del tutto dalle sue manovre finanziarie. Il debole rendimento del suo catalogo e la scarsa resa degli ultimi titoli rende difficile sostenere il valore azionario tramite performance commerciali pure. La conseguenza è che mentre i publisher con pipeline forti vedono oscillazioni coerenti con l’uscita dei giochi, EA mantiene una crescita lineare ma meno legata al successo videoludico. Capito? EA ha costruito una struttura finanziaria perfettamente funzionale e in grado di parargli il culo in situazioni difficili. Non è roba da poco, specie se raffrontiamo la sua situazione con quella di Ubisoft o Embracer. Eppure, il risultato è simile. Un’azienda svuotata di significato creativo, incapace di lanciare nuove IP di rilievo, che vive della rendita di tre-quattro brand spremuti all’osso.

Tutto ciò porta alla stagnazione creativa, a un ulteriore deterioramento del rapporto col pubblico e a una progressiva sparizione delle IP storiche come Dragon Age e Mass Effect. Un paio di EA Originals, tra cui i giochi del bravissimo Joseph Fares e i single player di Respawn non bastano a smacchiare l’unto ostinato e cancellare le delusioni dei fan di lunga data, tra decine di studi chiusi e pratiche scorrette. Proprio per questo ritengo che l’odio viscerale verso EA e i suoi simili non sia per nulla ingiustificato. Le prove che gli unici clienti di cui gli importi qualcosa siano gli azionisti le abbiamo proprio davanti agli occhi. Non si tratta di aziende creative ma di fondi speculativi. Ecco il motivo per cui a prendere le decisioni siano tecnocrati ed economisti alla Bobby Kotick e Andrew Wilson. Gente che la creatività non sa neanche dove stia di casa. E se questo modus operandi dovesse diventare dominante nell’industria, e lo sta diventando, allora il videogioco come mezzo espressivo, culturale e artistico rischia di essere definitivamente sacrificato sull’altare della rendita finanziaria. Non vogliamo che accada, giusto?

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