[Speciale] Il 2016 non sarà l’anno della realtà virtuale: siamo dei beta tester

È naturale che colossi come Facebook, Valve, HTC e Sony siano proiettati verso il futuro e investano milioni su milioni in ricerca e sviluppo. È altrettanto naturale che il denaro non sia infinito, e che bisogna fare in modo da rientrare nei costi, per quanto possibile.
Oculus Rift, HTC Vive e PlayStation VR saranno commercializzati nel corso del 2016. Gli utenti PC hanno ormai imparato che per poter giocare in realtà virtuale bisogna possedere una macchina di fascia alta, abbastanza potente da produrre quei 90 frame al secondo necessari all’esperienza base. All’inizio di Gennaio 2015 si stima che in tutto il mondo esistano poco più di 13 milioni di PC abbastanza performanti da poter gestire la realtà virtuale, numero che ovviamente crescerà col passare del tempo.
Il problema fondamentale, in tutto questo discorso, è ciò di cui le major preferiscono non parlare.

I limiti

Al momento tutti i visori in sviluppo sono afflitti da un grosso problema: la loro qualità è bassa. Spieghiamo cosa significa.
Per poter vendere queste periferiche tutte le aziende coinvolte sono dovute a scendere a compromessi notevoli per quanto riguarda le tecnologie impiegate.
Nessuno (sottolineiamo nessuno) dei visori che saranno commercializzati quest’anno potrà essere future proof, né godere di un ciclo vitale in alcun modo lungo.

OSVR

Quanto accadrà è per forza di cose una situazione simile a quanto è avvenuto alla nascita degli smartphone, dispositivi ancora acerbi ma estremamente costosi, che nel giro di un anno risultavano obsoleti se confrontati con la concorrenza.
I visori peccano nei pannelli, nel refresh, negli hertz, e soprattutto non ci sono ancora idee chiare per la risoluzione dei problemi principali di questa tecnologia. Nessuno dei visori di questa prima generazione è fornita di una videocamera esterna, non esiste la possibilità di scansionare l’ambiente e, cosa gravissima, nessuno è riuscito a implementare una tecnologia di eye tracking che fosse economicamente sostenibile. Perché l’eye tracking non è ancora pronto al mercato di massa. Se le cose stessero diversamente, oggi potremmo già goderci la realtà virtuale utilizzando risorse hardware esigue, inferiori a quelle di un PC di fascia media.

Eye Tracking

In questo momento i vostri occhi stanno leggendo queste parole. Percepite ciò che avete intorno grazie alla coda dell’occhio, ma siete comunque concentrati su queste righe di testo. State mettendo a fuoco le informazioni che realmente vi interessano, relegando il resto ad un fuori fuoco e alla conseguente perdita di definizione.
Questo accade tutte le volte in cui guardiamo qualcosa: una zona del nostro campo visivo diviene oggetto di interesse e viene messa a fuoco, tutte le altre passano in secondo piano e perdono definizione.
Il cinema, le TV e i videogame non sanno cosa stiamo guardando: la soluzione più semplice è dunque mettere a fuoco l’intera scena (o fotogramma) lasciando che siano poi i nostri occhi a decidere a cosa dare priorità.
Adesso date un’occhiata a questo video:

Questo è l’attuale stato di avanzamento dei lavori sull’eye tracking, tecnologia che identifica il movimento dei nostri occhi e capisce cosa stiamo osservando, mettendo a fuoco quello specifico elemento e sfuocando progressivamente il resto, in maniera tale da simulare la vista in circostanze di vita reali.
Una o due telecamere vengono applicate all’interno del visore per la realtà virtuale e si dedicano costantemente a una scansione dei movimenti degli occhi.
È fondamentale che non ci sia alcun tipo di lag e che la frequenza sia di almeno 240 hertz per far sì che tutto funzioni per il meglio ma, se ci si riesce, scheda video e processore devono calcolare a risoluzione piena solo un numero molto modesto di pixel, limitato dall’area che stiamo osservando in quel dato momento. Tutto il resto può venire semplificato, riducendo in maniera drastica il calcolo di informazioni necessarie.
L’eye tracking sarà sicuramente implementato nei visori per realtà virtuale, ma non nel 2016. Ciò garantirà una riduzione sostanziale dei requisiti hardware per la gestione dei giochi e dei software, e si potrà creare un effetto di profondità ad oggi impossibile.

Cavi, input lag e risoluzione

Altra annosa questione riguarda la banda passante: Oculus Rift ha bisogno di ben 4 ingressi USB per gestire il flusso dei dati, tre dei quali necessariamente 3.0, e uno 2.0. Il visore e le due videocamere hanno infatti bisogno di trasmettere un considerevole numero di informazioni, tanto che non è da escludere un futuro in cui si utilizzeranno porte diverse dalle classiche USB (magari una scheda PCI-E con uscita sul retro del PC? Magari un’evoluzione dell’attuale 3.0 con banda a sufficienza?). Una cosa è certa: lo scambio di dati in Wi-Fi non sarebbe sufficiente a garantire un’esperienza priva di lag, come del resto sanno bene i possessori di PS Vita che abbiano provato a giocare in streaming con PlayStation 4. Esiste infatti una latenza che non è possibile ignorare, e che nel caso della realtà virtuale causerebbe inevitabilmente una forte nausea nell’utente, in quanto i movimenti della testa non risulterebbero perfettamente sincronizzati con quanto avviene a schermo.

Ciò è dipendente in larga parte dalla risoluzione del pannello del visore. Maggiore è la risoluzione maggiore sarà il numero di dati che dovrà passare per la banda disponibile. Nintendo ha svolto un lavoro abbastanza intelligente con Wii U da questo punto di vista, riducendo la risoluzione dello schermo del GamePad per permettere uno streaming del tutto privo di lag. Tuttavia una via di fuga del genere sarebbe improponibile nel 2016, quando il Full HD sta stretto a qualsiasi utente PC e il 2K si va standardizzando, mentre i più facoltosi possono già permettersi di giocare in 4K.
Ricapitolando, non sarà possibile fare a meno dei fastidiosi cavi se si vorrà puntare a risoluzioni elevate restando privi di input lag. Considerata la distanza dal punto di osservazione e le dimensioni del pannello, è poco probabile che i produttori di VR vogliano puntare a risoluzioni superiori al 2K, anche in futuro. Tuttavia, anche fermandosi a una semplice risoluzione Full HD sarà necessario fornire una banda considerevole.

Conclusioni
Il 2016 sarà l’anno della realtà virtuale, ma solo nel senso che questa sarà disponibile per l’acquisto. La tecnologia è ancora più acerba di quanto ci vogliano far credere, e per quanto possa essere divertente spararsi una sessione di gioco con Oculus Rift mancano ancora troppi elementi per decretare il successo immediato di questa tecnologia.
I requisiti hardware sono troppo elevati perché non esistono accorgimenti abbastanza intelligenti o economici all’interno dei visori stessi. Elementi come Eye Tracking sono e saranno fondamentali nel ridurre in maniera drastica la potenza di calcolo necessaria al rendering di un numero sufficiente di fotogrammi, ma nel contempo bisognerà lavorare a sistemi che rendano l’esperienza più user friendly: 4 cavi di collegamento, telecamere sparse per la stanza e l’assenza di una videocamera per la scansione esterna non sono proponibili, così come non è proponibile l’idea di spendere mezzo stipendio in un dispositivo che, da solo, non fa girare assolutamente nulla. La prima generazione di realtà virtuale è alle porte, ma non è abbastanza. Siamo certi che già nel 2017 verranno rilasciate delle versioni rivedute e corrette di alcuni dei visori. La vera domanda è: quando comprare? A ciascuno il suo portafogli.

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