[Recensione] D4: Dark Dreams Don’t Die – Genio e sregolatezza

Data di Uscita 5 Giugno 2015 Lingua Italiano
Piattaforme PC, One Versione recensita PC

Dopo la caterva di premi ricevuti grazie al successo riscosso su Xbox One, l’eccentrico Hidetaka Suehiro (meglio conosciuto come Swery) ha finalmente deciso di lanciare D4: Dark Dreams Don’t Die su Steam, GOG, Humble Store e Playism al prezzo di 14,99€.
Il fondatore di Access Games, già noto ai più per l’ormai cult Deadly Premonition, approda per la seconda volta su PC con un porting riveduto e ripulito dalle interazioni con il Kinect, promettendo inoltre un continuo supporto futuro e il rilascio di nuovi capitoli del gioco, episodico come ormai da trend per le avventure grafiche caratterizzate da una certa cinefilia.

D4: Dark Dreams Don’t Die

Inutile dire che D4, fin dai primi minuti, sprizza giapponesità da ogni poro.
Ma tranquilli, non si tratta di quel complesso caratteriale visto e rivisto in anime demenziali, visual novel o musou: pensate all’ultimo pargolo di Swery come a un Cowboy Bebop in versione videoludica, ricco di citazioni colte, momenti riflessivi, esilaranti e critiche più o meno celate alla società odierna.
La season one è costituta da un prologo e due episodi dalla durata complessiva di 5 ore ma che, in assenza di particolare attenzione ai dettagli e agli innumerevoli compiti secondari da svolgere, possono diventare 3.

Il giocatore impersona David Young, detective trasandato alla Bigby che indaga incessantemente sull’assassinio di sua moglie, avvenuto in circostanze alquanto sospette, guidato dalle ultime parole della consorte che lo esortavano a cercare “D”.
Da quel momento Young si dedica mente e corpo alla ricerca del fantomatico individuo trascurando persino la propria salute fisica e mentale, sgranocchiando quel che gli capita a tiro e trangugiando alcolici come se non ci fosse un domani.
Le investigazioni avvengono principalmente dentro il subconscio dello smemorato protagonista, in trance nella vasca da bagno in cui Little Peggy (la moglie) è stata uccisa; David possiede, infatti, lo strambo potere di ripercorrere il passato attraverso degli oggetti particolarmente significativi che reagiscono ala cicatrice situata sopra il sopracciglio destro e lo mandano in una sorta di trip spazio dimensionale durante il quale può rivivere, ed eventualmente modificare, il passato.
Sia la sceneggiatura che i personaggi rispettano i canoni narrativi dell’animazione giapponese d’autore: siamo di fronte ad una trama avvincente, dal giusto passo, priva di punti morti e che si lascia gustare delicatamente senza scoprire le carte, stuzzicando così la curiosità del giocatore dapprima spiazzato di fronte a un susseguirsi di eventi poco comprensibili ma alla fine in grado di giungere alle conclusioni grazie all’elevata qualità di informazioni contenute entro gli ambienti di gioco.
I personaggi, dal canto loro, presentano prerogative affascinanti e fuori dal comune che li rendono inconfondibili ed indimenticabili.
Odioso o affabile, ogni comprimario riesce alla perfezione nel compito assegnatogli e porta con sé elementi imprescindibili alla conoscenza totale degli eventi, spesso intricati.

Ma D4 non vive soltanto di profilo registico.
Lo schema di comandi, sapientemente adattato al mouse e ai suoi tre tasti, riesce ad essere soddisfacente senza inutili complicazioni: in generale il tasto destro viene utilizzato per interagire con persone e oggetti, il sinistro per toccare o spingere via e il centrale per guardarsi attorno.
A questo vanno aggiunti i controlli nelle azioni contestuali, durante le quali verrà richiesto di muovere il mouse in cerchio, agitarlo, compiere degli slash o dei wipe nelle fasi più concitate.
Indagare e setacciare le zone in cerca di indizi -necessari per avanzare nell’avventura- si rivela un’esperienza piacevole e profonda, con una miriade di collezionabili sparsi in giro e varie opzioni di dialogo che comprendono missioni secondarie da svolgere sotto forma di minigiochi, molto gradevoli a dire il vero, tra cui puzzle e divertenti amenità tutte da scoprire.
Young possiede inoltre una barra della stamina e una della salute che si consumano rispettivamente compiendo azioni come parlare con gli altri personaggi e venendo colpito a seguito di scene d’azione se si sbaglia il timing delle mosse; presente infine il vigore, terza barra rigenerabile da attivare in caso di difficoltà per visualizzare gli indizi segnalandoli in giallo.
Eseguire qualsiasi tipo di gesto eccetto lo spostamento, che non avviene in tempo reale ma cliccando su punti predefiniti del suolo, comporta la perdita di punti stamina, recuperabili comunque in modo abbastanza semplice con l’esborso di crediti, a loro volta ottenibili in gran quantità compiendo varie azioni.
C’è comunque un difetto relativo al gameplay e si tratta della staticità dei movimenti.
Avremmo infatti preferito muoverci liberamente senza dover cliccare e poi spostare la visuale ruotando di 45° almeno 3 volte ad ogni passo poiché il campo visivo è davvero ristretto e la telecamera non proprio comoda.
Fatto sta che non si smette mai di curiosare e senza alcun dubbio D4 sconfigge la piattezza e l’estrema linearità di titoli come The Wolf Among Us: qui non avrete un attimo di pausa, neanche durante le cutscene.

Parliamo adesso di comparto tecnico soffermandoci sui requisiti, altini a dire il vero e non giustificati visto il cel shading non sempre pulitissimo e l’angustia degli ambienti, tra l’altro solo accettabili a livello di dettaglio grafico e nitidezza.
I requisiti minimi richiedono un OS a 64bit e ben 6GB di RAM nel caso di una risoluzione corrispondente all’HD Ready e 8GB più una scheda da oltre 2GB di VRAM a 1080p, dati non molto incoraggianti per chi possiede un PC datato o semplicemente un sistema ad architettura x86.
Ai più aggiornati riferiamo che purtroppo il framerate è cappato a 60fps ma si mantiene comunque stabile per tutta la durata della storia.
Segnaliamo infine l’assenza di settaggi grafici, ridotti alla scelta di avere ombre dinamiche e attivare/disattivare il vsync.

Dal lato artistico, invece, solo lodi.
Il cel shading, come detto prima, manca leggermente di pulizia ma non certo di carattere nel mostrare ogni sfaccettatura di un mondo normale solo in apparenza, malato e distorto nel profondo nonché interpretabile in mille modi dalla sensibilità del singolo.
Considerando la scarsa duttilità del motore, modelli ed espressioni facciali sono resi in modo sorprendente e soprattutto appropriato, donando al cast quel marcato realismo che contrasta così bene con l’atmosfera onirica e irrazionale plasmata dal potere di Young.
Validissima anche la soundtrack, composta da Access Records, che spazia dal funk al jazz e cattura a meraviglia lo spirito del poliziesco anni ’90 offrendo talora virtuosismi da pelle d’oca.

Conclusioni
D4: Dark Dreams Don’t Die è una di quelle perle che possono provenire esclusivamente dal Paese del sol levante ed in questo senso può essere amato alla follia come disprezzato per i secoli a venire: in poche parole non è un gioco per tutti.
Il nostro punto di vista è però a dir poco entusiastico in quanto l’estro creativo di Swery traspare chiaramente da qualsiasi angolazione si osservi il titolo e lo consigliamo caldamente ad ogni amante delle avventure grafiche ma anche a tutti coloro i quali aspirano a produzioni d’autore quindi di nicchia, capaci da sole di innalzare il media videoludico al di sopra dei propri standard.
Genio e sregolatezza sono le due parole che riassumono la prima stagione di D4 e ci auguriamo vivamente che i prossimi capitoli siano degni di tale, promettente, partenza.
+ Bello da guardare, da scoprire, da ascoltare
+ Si distanzia dalla massa
+ Porting intelligente
+ Sceneggiatura al top
+ Gameplay profondo e divertente
– Episodico quindi breve
– Comandi di movimento un po’ legnosi
– Qualche imperfezione tecnica

Valutazione 8.7/10

Metascore ND
D4: Dark Dreams Don’t Die -Season One- | Steam | 14.99€

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