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Spate – Recensione | Soffocare nell’assenzio

Spate è un titolo indipendente finanziato attraverso crowd funding, appartenente per alcuni aspetti al genere dei platform 3D a scorrimento orizzontale, ma molto più vicino allo sperimentalismo di Dear Esther che al classico Donkey Kong Country o chi per lui. Si tratta di un titolo dotato di una componente narrativa che risalta rispetto a qualsiasi elemento ludico presente nella produzione.Le tematiche affrontate sono molto serie, e ruotano intorno al concetto dell’abbandono a se stessi, all’alcolismo e alla maniera in cui le persone riescono a relazionarsi con la depressione. Non è insomma un gioco fatto per divertire, ma piuttosto per lanciare degli spunti di riflessione attraverso un violento impressionismo visivo.

Spate

Nel gioco vestiremo i panni del detective Bluth, un uomo mandato a investigare nella famigerata X-Zone. Si tratta di un luogo un tempo abitato, improvvisamente aggredito da un nuvolo di fumi tossici che hanno portato l’intera popolazione a svanire misteriosamente nel nulla. Armati dunque della nostra maschera antigas e di un utile jetpack, ci addentreremo nelle profondità di ciò che resta del centro abitato, in ambienti onirici, confusi, per molti aspetti nauseanti. Difficile dire se a creare questi effetti sia stata la nube tossica oppure semplicemente la bottiglia di assenzio che porteremo sempre sotto braccio.

Spate, video recensione

Bluth è un alcolista, una persona debole che non è riuscita a fronteggiare le difficoltà della propria vita se non abbandonandosi all’alcool. Durante il gioco il nostro personaggio narrerà la propria storia attraverso degli interventi recitati in un ottimo inglese (sono presenti anche i sottotitoli, purtroppo solo in lingua inglese), in un modo che per alcuni aspetti ricorda quanto avveniva nello splendido Dear Esther.

Apprenderemo dunque della improvvisa e inaspettata sparizione della figlia, dell’arrivo della nebbia, dello sconforto, della paura e della disperazione comportata dalla perdita. Apprenderemo dell’incapacità di Bluth di affrontare le cose, di darsi pace per ciò che appare come un evento del tutto gratuito, un dramma avvenuto senza alcun motivo. Da qui la necessità di annullarsi rifugiandosi nell’alcool, il rapporto con se stesso che diventa sempre più conflittuale, fino ad arrivare al disprezzo, forse all’odio. E da qui la scelta della moglie di andarsene, addolorata per la perdita della figlia, sola a causa di un marito alcolizzato divenuto lo spettro di sé. E Bluth non la biasima, sa di non meritarla. Sa di non meritare nulla.

Il racconto proseguirà durante i circa novanta minuti di gioco, riuscendo a toccare il giocatore attraverso una serie di espedienti piuttosto intelligenti. Se infatti la potenza narrativa della produzione non è paragonabile a quella del raffinato Dear Esther né alla delicatezza del più recente Gone Home, Spate compensa con un design davvero perfetto nel creare emozioni e trasporto nel giocatore, immergendolo con prepotenza nel mondo distorto dell’assenzio, dandoci la possibilità di bere un sorso del nostro nettare velenoso alla semplice pressione di un tasto, senza che la cosa sia tra l’altro fine a se stessa.

Spate comunica per immagini

Spate
Sotto l’effetto dell’alcool il nostro personaggio sarà infatti in grado di saltare molto più in alto per un breve periodo di tempo, difficile dire se la cosa sia reale o se semplicemente si tratti di un’altra illusione. Non che saltare più in alto sia necessario nell’economia di gioco, in quanto tutte le fasi platform possono essere superate senza problemi anche da sobri. Piuttosto diciamo che l’uso dell’assenzio renderà le cose più facili, permettendoci un più ampio margine di errore, andando ad essere metafora di chi cerca la soluzione più semplice facendosi del male o di chi invece cerca di superare gli ostacoli con le proprie forze, che alla fine si rivelano sempre più che sufficienti. 

Emblematica in tal senso una delle fasi finali del gioco, in cui saremo chiamati a scalare un’altissima torre, con la forza delle nostre gambe e del nostro jetpack, artigliandoci agli spigoli per poi risalire su, con sforzo, lentamente, gradino per gradino, nella redenzione di un uomo alla ricerca di una seconda possibilità, di una nuova nascita che sarà solo il giocatore a dover scegliere. Oppure potremo salire la stessa scalinata con l’aiuto del nostro fidato assenzio, grazie a salti così falsi e imperiosi da permetterci di superare ciascun gradino con semplicità, con pochi balzi che sanno di morbido e di inganno, la veloce scalata di un uomo che corre verso la propria fine, verso la morte, incapace di sopportare il dolore, incapace di perdonare se stesso e di comprendere che forse non è troppo tardi per tornare a vivere.

Lo stile artistico di Spate è molto particolare

Spate

Perché è solo di questo che si tratta: vivere o morire, saremo del tutto liberi di deciderlo nei due finali possibili.
Per il resto avremo a che fare con un platform a scorrimento molto classico, privo di elementi realmente innovativi, e caratterizzato da ritmi in genere blandi. Alcune sequenze sono più ispirate di altre, ma in linea di massima il comparto puramente ludico di questa produzione riveste un ruolo da corollario a ciò che è l’esperienza voluta dal game designer, ovvero la narrazione di una storia toccante. Detto semplicemente, se siete alla ricerca di un solido platform fareste meglio a cercare altrove. Questo prodotto non desidera esserlo.

Ogni volta che decideremo di sorseggiare il nostro assenzio, gli effetti non influenzeranno solo il gameplay, ma si ripercuoteranno anche sulla grafica di gioco. Assisteremo quindi ad una distorsione in tempo reale degli scenari, che potrà interessare gli sfondi, il piano di gioco (che potrà anche inclinarsi portandoci a modificare i nostri movimenti), e il piano grafico posto davanti a quello dove si svolge il gioco vero e proprio. In maniera similare a quanto avviene in prodotti come Limbo o i più recenti Giana Sisters, pur essendo un platform con impostazione 2D Spate può contare su tre livelli di profondità. Il gioco vero e proprio si svolgerà su quello centrale, mentre quello anteriore avrà finalità sia visive che di gioco, andando qualche volta a coprire la nostra visuale con degli effetti artistici molto particolari e in generale piacevoli.

Spate è contorto e confuso

Spate
Davvero ispiratissime sono le musiche di gioco, realizzate con gli archi (violino e violoncello su tutti), sempre adatte agli stati d’animo del nostro protagonista, malinconiche e allo stesso tempo affascinanti. Dal punto di vista musicale non raggiungono le vette di eccellenza toccate dalla compositrice Jessica Curry in Dear Esther, ma grazie alla congiunzione con la straordinaria direzione artistica l’impatto emotivo e il coinvolgimento riescono a superare il lavoro di Thechineseroom.

Abbiamo notato delle piccole incertezze tecniche qui e là, con degli sporadici casi di compenetrazione poligonale, crash del gioco al momento della chiusura, ed animazioni che si “incantano” in alcune sezioni dell’avventura. Manca inoltre il supporto nativo alla croce direzionale del pad, il che sembra piuttosto sconveniente in un platform a scorrimento orizzontale. Dovremo metterci il cuore in pace e usare il nostro fido stick analogico.

Spate è un bel prodotto, ma non è un bel gioco. Se cercate semplicemente un platform e desiderate “giocare” il nostro consiglio è di cercare altrove. Ma se invece siete in grado di lasciarvi ammaliare da una direzione artistica che così magnificamente riproduce la dipendenza e la distorsione del reale, Spate saprà accompagnarvi per circa 90 minuti verso una storia toccante, cullandovi tra note ispiratissime e un design sopraffino. Se avete amato Dear Esther e Gone Home adorerete Spate.

+ Straordinaria direzione artistica
+ Colonna sonora ispirata
+ Metafore visive dal grande impatto
– Componente ludica solo marginale
– Qualche incertezza tecnica, e manca il supporto al D-pad

Valutazione 8.1/10

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