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[Speciale] Far Cry 4: questione di moralità

ATTENZIONE: questo articolo contiene spoiler sulla trama principale e i finali di Far Cry 4.

Far Cry 4 o, per meglio dire, Far Cry 3.5, è l’ennesima iterazione di un brand abbastanza popolare tra gli amanti degli fps che si ambienta, stavolta, in una location ampia e suggestiva come la regione Himalayana (chiaramente fittizia) del Kyrat.

L’avvenimento che porterà il nostro protagonista, Ajay, a recarsi in questo sperduto paradiso montano è rappresentato dalla morte della madre la quale, come ultimo desiderio, ha chiesto al figlio di portare le sue ceneri proprio in quel luogo così impervio e apparentemente dimenticato in cui si cela l’oscuro passato dell’intera famiglia Ghale.
Facciamo la conoscenza del cattivone di turno già dopo pochi minuti di cutscene ma, a differenza dell’aggressione perpetrata da Vaas in Far Cry 3, l’ispiratissimo Pagan Min (signore della guerra locale) ci accoglie sotto la sua ala e inizia a trattarci come se fossimo di casa.

E’ corretto pensare che gli sviluppatori abbiano voluto rendere il primo incontro con Pagan il più atipico possibile per provocare in noi i primi dubbi riguardo al vero scopo del nostro alter ego in Kyrat.
Infatti, se dopo il banchetto di accoglienza dai toni non esattamente cordiali seguiremo gli ordini del biondo villain in tenuta viola e attenderemo 15 minuti di orologio senza muoverci dalla sedia ci sarà possibile sbloccare il finale alternativo del gioco, probabilmente il migliore fra i tre disponibili.
E sì, perché sebbene le azioni di Pagan Min in Kyrat non siano affatto degne di elogio (definirlo dittatore è un eufemismo), la piega che prenderanno gli eventi se ci metteremo contro di lui durante il corso dell’avventura sarà decisamente disastrosa per la popolazione indigena.
Annichilita da decenni di rivolte e guerre civili, difatti, la regione ha trovato una relativa e macabra pace solo dopo l’avvento del suddetto Min ma la lotta per il potere, si sa, non smette di aver corso e adesso il Sentiero d’Oro, coalizione dagli antichi sapori capeggiata in precedenza dal padre di Ajay, reclama ogni sovranità sui territori assediati.

Le nostre scelte saranno saranno influenzate dalle fazioni di Amita e Sabal, due rappresentanti dei cittadini con punti di vista diametralmente opposti e, a prescindere dalle decisioni che prenderemo, il destino del Kyrat sarà, purtroppo, più buio che mai.

La domanda che ci viene posta è ardua: preservare il passato e adorarlo a tutti i costi pur incappando in barbarie e nonsense da lobotomizzati o rischiare innovando radicalmente e scendendo a meschini compromessi che metteranno a repentaglio la sicurezza pubblica?
Il gioco non sembra condurci a una risposta chiara e oggettiva ma più volte, attraverso comunicazioni radio, Pagan tenterà di avvertirci che entrambi gli schieramenti di pensiero all’interno del Sentiero non porteranno a soluzioni reali ed efficaci.
Sembra quasi che il folle sovrano sia la voce della ragione che prova in tutti i modi, ma senza successo, a dissuaderci dal diventare un mero esecutore delle volontà assassine dei ribelli e perdere quell’identità di membro della famiglia Ghale che ci aveva spinto fino in Kyrat.

Durante le ultime ore di gioco, poi, ogni errore ci viene spiattellato sul viso da vari personaggi senza troppi giri di parole, accrescendo in noi i sensi di colpa per ciò che abbiamo contribuito a costruire o demolire ma, in fin dei conti, un esito negativo era inevitabile.
Non amiamo molto i bivi morali che portano ad un finale quasi del tutto invariato, eppure qui ci viene fornita l’alternativa perfetta, ovvero schierarsi dalla parte del “cattivo”, colui che afferma che le scimmie non smetteranno mai di tirarsi merda addosso e che lasciargli il potere sia quanto mai deleterio.
In questo senso, Pagan Min è giustificato: i suoi consigli ed avvertimenti si rivelano sinceri e ciò che ci confessa alla fine è importantissimo e ci permette di comprenderlo, quasi di provare empatia nei suoi confronti.
Mohan Ghale, padre di Ajay, non è più l’eroe che viene descritto da Sabal ma un fondamentalista senza scrupoli, tanto da ripudiare la moglie e uccidere la figlia illegittima per deprecare ogni contatto con il nemico.
La relazione di Ishwari Ghale con Pagan non ha fatto altro che sancire il legame padre-figlio tra lui ed Ajay, portandoli ad un singolare ricongiungimento finale nel dolore per la scomparsa della donna, elemento chiave per la dipartita mentale dello stesso Min.

E’ dunque corretto, secondo noi, definire “bad ending” il finale in cui lo si uccide a sangue freddo, mentre siamo propensi a decretare “best ending” il finale segreto descritto in precedenza, nel quale viene siglato una sorta di accordo taciturno tra le due parti; le ceneri potranno così riposare in pace e l’eventuale ribellione diverrebbe sempre più una fantasia, evitando vittime da entrambi gli schieramenti.

In ultima analisi siamo contenti della piega presa da Far Cry 4 a livello prettamente narrativo.
Pur non innovando nel gameplay e non inserendo nuove meccaniche rilevanti che lo differenziassero dal predecessore, Ubisoft ha saputo mettere in difficoltà il nostro senso etico/morale attraverso uno storytelling non privo di difetti ma intrigante e profondo al punto giusto.
La ciliegina sulla torta è, senza alcun dubbio, Pagan Min: il suo humor nero misto a consapevolezza di una triste realtà a cui non si può sfuggire e che quindi dev’essere dominata lo rendono uno dei villain meglio riusciti degli ultimi anni.
Ci auguriamo che, a dispetto di recenti avvenimenti poco fausti per il colosso francese, si continui per una strada più simile a quella di Far Cry che ad altri brand altrettanto rinomati.

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