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[Speciale] L’ipocrisia nel giornalismo videoludico odierno – Il caso Zoe Quinn

Tutto inizia con un passionale ed articolato sfogo di un uomo nei confronti della sua ex.
Il blog si chiama thezoepost e i personaggi in questione rispondono alle generalità di Eron Gjoni e Zoe Quinn, nota sviluppatrice indie emersa principalmente grazie alle sue campagne in favore dei diritti femminili nel panorama videoludico odierno.
Il post, suddiviso in punti numerati, sviscera i – per così dire – passi falsi commessi da Zoe durante la relazione con Eron, mostrando prove evidenti ed imbarazzanti della discutibile moralità della ragazza.

Ma cosa c’entra tutto ciò con i videogiochi?
Zoe Quinn, autrice dell’avventura testuale Depression Quest rilasciata su Steam tramite Greenlight nello scorso Agosto, si è fatta portavoce di una piccola battaglia social-mediatica contro il sessismo poiché, durante lo sviluppo del suo progetto, sarebbe stata vittima di minacce, insulti e telefonate sgradevoli che hanno contribuito a gettare una cattiva luce sul mondo dei giocatori in generale, reo di considerare il genere femminile come estraneo al settore del gaming e aprendo un dibattito di ampio respiro su vari siti, specialistici e non.
Il problema subentra quando Gjoni, nel proprio post, rende pubbliche le identità degli uomini con cui l’ex fidanzata lo aveva tradito e tra di essi figura il noto giornalista videoludico Nathan Grayson, prima impiegato presso
Rock, Paper, Shotgun e più recentemente presso Kotaku.
Tralasciando il gravissimo fatto che la Quinn abbia avuto dei rapporti sessuali con il suo boss, Joshua Boggs, tra l’altro sposato, concentriamoci su Grayson.
In alcuni tra i suoi articoli, infatti, pubblicizza specificatamente Zoe e il suo gioco creando così un evidente conflitto di interessi e azzannando sul collo la moralità nel giornalismo videoludico, fresco d’epopee meramente femministe che abbiamo visto in prima pagina su giornali che (non) dovrebbero occuparsi di videogiochi.

Ci sarebbe anche il caso di The Fine Young Capitalists, gruppo pro-parità dei generi che ha organizzato un contest grazie al quale persino donne con poca o nessuna esperienza nello sviluppo di un gioco avrebbero potuto
gettare le basi per un progetto, sottoporlo ad una votazione online e ottenere tutti i mezzi necessari per portarlo a termine, ricevendo l’8% dei profitti e devolvendo il resto in beneficenza. Ma a Zoe questo non è andato giù e, dopo aver definito tale campagna come “oppressive”, ha praticamente stroncato il progetto facendo leva sulle sue conoscenze in redazioni e uffici stampa, provocando innumerevoli grattacapi ai creatori dell’iniziativa.
Noi non troviamo alcunché di oppressivo nel guadagno di una percentuale solo per aver fornito un’idea (perché in fondo era tutto ciò che le partecipanti avrebbero dovuto dare) e osservarla crescere per poi diventare un
videogame a scopo principalmente benefattorio.

Da tutto ciò traspare che Zoe Quinn è il tipo di persona che parla pubblicamente di diritti delle donne, giustizia ed uguaglianza criticando i gamer, troll sessisti e misogini, mentre nella vita si avvale di favori sessuali e
molesta persone coprendo il tutto tramite amici dell’industria con un fanbase più ampio.
Quindi non fa sesso soltanto per il successo e la pubblicità ma anche per insabbiare le situazioni scomode e annientare chi la critica.
E, dopotutto, viene rappresentata come la voce dell’uguaglianza nel mondo del gaming.
Del resto, cosa ci si può aspettare da una persona che antepone il successo agli affetti veri e sinceri (“ti prego non renderlo pubblico, potrebbe rovinarmi la carriera“)?

Siamo arrivati al doloroso punto in cui le relazioni interpersonali influenzano ciò che viene riportato dai media, gettando un cumulo di fango su un settore del giornalismo già colpito da simili scandali in passato.
La maggior parte dei critici e dei giornalisti amano giudicare il prossimo per azioni deplorevoli che essi stessi compiono nella vita privata; il loro portafogli si compiace di ciò che predicano nei loro articoli falsamente buonisti e pieni di moralismo.
Le opinioni diverse o le critiche sono classificate come sessismo, ignoranza, trolling e quant’altro.
Ricordiamoci che noi gamer abbiamo reso il gaming la montagna d’oro che è adesso, non i Grayson, le Sarkeesian e la loro ipocrisia.

Un tempo bastava l’impegno per far sì che un gioco vedesse la luce ed avesse successo, adesso basta impegnare se stessi e la propria eticità.

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Post di Gjoni

2 commenti

  1. è il risultato del mercato, dell’Hype, dei gigantesti bilanci di publiscer che da oramai una quindicina di anni sono aumentati esponenzialmente. Il risultato è sta tizia, scrupoli zero, ipocrisia a mille. Ma del resto viviamo in una società competitiva, l’umiltà e la scarsezza di ambizione sono considerate una colpa. Non sono affatto sorpreso da casi simili, avvengono ovunque, in qualunque settore, ed evito di menzionare le “figure istituzionali”
    “super-pares” di una certa penisola mediterrane …

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