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[Speciale] Salt and Sanctuary – Analisi del port PC e riflessioni sul gioco

Avendo già recensito la versione console, ci inoltriamo adesso nell’analisi del port PC di Salt and Sanctuary, l’ottimo action platform di Ska Studios giunto su Steam lo scorso 17 maggio.
Dal momento che le differenze dalla controparte PS4 si contano sulle dita di una mano, aggiungeremo a questo articolo un’opinione approfondita del gioco con l’occhio critico di un superfan della serie Souls, senza dubbio la massima fonte d’ispirazione per gli sviluppatori statunitensi.
Iniziamo dunque elencando le feature principali di questa conversione, solida e performante anche su hardware datato.

Salt and Sanctuary – Analisi PC

Dando una rapida occhiata ai menu, navigabili fluidamente sia con mouse che con pad, ci si accorge subito della penuria di opzioni, specialmente in ambito video.
Qui troveremo solo due parametri, ovvero il modificatore di risoluzione e aspect ratio, settabile in modalità finestra, schermo intero con bordi o senza.
Nella sezione controlli troveremo invece la possibilità di scegliere la periferica, disattivare il cursore del mouse e rimappare i controlli in modo piuttosto semplice.
Il gioco funziona benissimo a prescindere dall’input utilizzato, sebbene lo schema di Xbox One risulti leggermente più comodo a lungo andare, e non presenta alcun problema di compatibilità hardware.
Buone anche le prestazioni, con 60 fps rocciosi che si mantengono stabili per tutta la durata dell’avventura mentre la GPU rimane praticamente in idle.
Un port discreto, insomma, di certo un tantino povero ma comunque privo di lacune evidenti in grado di compromettere l’esperienza di gioco.

 

Salt and Sanctuary – Considerazioni

In linea di massima Salt and Sanctuary ci è piaciuto e siamo d’accordo con la valutazione del buon Naares, eppure ci sentiamo in obbligo di fornire ulteriori chiavi di lettura in rapporto ai lavori di Miyazaki e FromSoftware.
E’ infatti impossibile, persino per noi che non amiamo i paragoni, evitare di accostare Salt and Sanctuary ai Souls e a Bloodborne.
In primis perché Ska Studios ha utilizzato gli stessi espedienti metanarrativi per esporre trama e lore, in secondo luogo perché gran parte delle meccaniche, ad eccezione di un paio di elementi ispirati dai metroidvania, viene presa di peso dai Souls.
Tra le sfaccettature che ci hanno colpito positivamente, citiamo su tutte l’atmosfera nebbiosa delle sue affascinanti location e i sognanti toni pastello utilizzati.
Abbiamo altresì apprezzato le zone in cui regnano incontrastate le tenebre, utili a conferire importanza alle torce e renderle parte integrante del gameplay.
Gradevole, oltre alle abilità come walljump ottenibili da certi NPC nascosti, il sistema di progressione del personaggio, relegato ad una sorta di Sphere Grid in stile Final Fantasy X.
Ci sono inoltre piaciuti la microgestione dei santuari, i ricchi frammenti di lore contenuti nella descrizione degli oggetti così come nei dialoghi e gli effetti sanguinolenti delle armi che regalano un feedback soddisfacente.

Si tratta indubbiamente di un esperimento riuscito, non lo neghiamo, ma da qui a definirlo una versione in 2D di Dark Souls ne passa…
Le grandi differenze, infatti, si notano subito, a partire dalla preponderanza e complessità delle fasi platform, dal sistema di progressione alla Final Fantasy X, dai pattern comportamentali dei nemici fino ad arrivare al level design, fortemente influenzato dalla bidimensionalità degli ambienti.
Le zone sono state progettate come in un metroidvania, dunque con miriadi di passaggi segreti e scorciatoie per evitare il backtracking, ma le varie piattaforme sembrano piazzate con poco riguardo al margine d’errore da parte dei giocatori, vittime di innumerevoli pitfall anche a causa di una legnosità e scarsa responsività dei comandi.
Mob e boss, poi, rendono il pacing di Salt and Sanctuary davvero incostante, dal momento che si passa rapidamente dall’incontrare nella stessa area creature del tutto innocue ad essere “obliterati”, addirittura puniti, quasi incolpevolmente.
Ciò che più ci ha infastidito nel design dei nemici è l’assenza di un vero e proprio pattern logico, limitato al furioso spam di mosse imparabili, velocissime ed in grado di bloccarci sul posto fino alla morte; spesso riescono persino ad afferrarci e danneggiarci attraverso porte, muri e piattaforme.
Vuoi per l’estremo knockback provocato dagli attacchi nemici, vuoi per la riduzione della salute massima ad ogni colpo subito, l’unico termine che calza a pennello in questi casi è l’inglese “cheap”.

Nel caso delle boss fight la medesima situazione si traduce in combattimenti talora frustranti in cui il mostro di turno spammerà a velocità supersonica una o più manovre offensive letali spioventi da qualsiasi direzione.
Se aggiungiamo poi che le hitbox e i frame di invulnerabilità non funzionano sempre come dovrebbero, lasciandoci in alcuni casi totalmente alla mercé dei colpi avversari, otteniamo il motivo per cui, secondo noi, non è tutto Souls quel che luccica.

Questi, in sostanza, sono gli elementi a nostro parere meno fortunati del titolo e lo allontanano in tal modo dalle vette di eccellenza raggiunte dai capolavori di FromSoftware, nonostante -e lo ripetiamo- la sua qualità rimanga davvero notevole.
Si vede chiaramente come gli sviluppatori abbiano voluto cercare di essere Miyazaki a tutti i costi, ed il fatto strano è proprio che avrebbero potuto riuscirci se solo avessero evitato di inserire nella formula elementi punitivi, la cosiddetta difficoltà artificiale capace di trasformarsi presto in tediosità.
Ci auguriamo che il team americano abbia compreso le criticità del proprio titolo ed proponga in futuro idee più originali e meglio elaborate.

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