Marathon e furto di asset: Bungie imbarazzante

Fern Hook, artista digitale conosciuta online con lo pseudonimo Antireal, ha recentemente denunciato pubblicamente uno dei casi più eclatanti di furto di asset nel settore dei videogiochi degli ultimi anni. Secondo quanto riportato, Bungie, lo storico studio dietro titoli come Halo e Destiny, avrebbe utilizzato senza autorizzazione alcuni suoi asset rubati all’interno di Marathon, il nuovo extraction shooter ancora in fase alpha.

La Hook ha scoperto che diverse sue texture, in particolare dei decal (elementi grafici da applicare sulle superfici), erano state inserite nel gioco senza alcun tipo di modifica, attribuzione o consenso. Le sue creazioni, pubblicate sul proprio sito portfolio e su piattaforme creative, sono state copiate e incollate nei modelli di Marathon così come erano, inclusi dettagli come nickname e un logo personale.

Per provare l’accaduto, l’artista ha pubblicato su X un confronto dettagliato tra i suoi lavori originali e gli screenshot tratti dalla versione di prova del gioco. Le somiglianze erano così evidenti da lasciare poco spazio al dubbio: si tratta di una vera e propria appropriazione non autorizzata. Il caso ha rapidamente fatto il giro della community videoludica, sollevando un’ondata di indignazione e critiche nei confronti di Bungie.

La risposta dello studio è arrivata poco dopo, ma non ha soddisfatto quasi nessuno. Bungie ha ammesso che gli asset erano stati effettivamente utilizzati, ma ha attribuito tutta la responsabilità a un singolo dipendente interno, affermando che si trattava di un “errore individuale”. Inizialmente si era pensato a un problema legato all’outsourcing, ma successivamente è emerso che l’autore del furto lavorava in effetti all’interno del team. Questo tentativo di scaricare le colpe su un capro espiatorio ha generato ulteriore sfiducia tra i fan e gli addetti ai lavori.

La vicenda ha anche riaperto discussioni su precedenti casi in cui Bungie sarebbe già stata coinvolta in episodi simili. Negli ultimi quattro anni, si contano almeno tre casi noti in cui Destiny 2 avrebbe incluso asset rubati, a danno di artisti indipendenti. Questo lascia pensare a un problema più ampio, forse strutturale, nella cultura e nella gestione creativa dello studio.

Particolarmente grave è il fatto che il profilo dell’artista Hook fosse seguito da diversi membri del team Bungie, il che rende difficile credere che l’uso delle sue opere fosse del tutto casuale o sconosciuto. È ragionevole presumere che altri artisti dello staff possano essersi accorti dell’accaduto ma abbiano preferito tacere piuttosto che mettere in evidenza il problema. Nel mondo del design digitale è normale trarre ispirazione da altri artisti, ma c’è una netta differenza tra ispirarsi e copiare direttamente un lavoro altrui senza permesso.

Un altro elemento critico è la facilità con cui si sarebbe potuto evitare tutto questo. Bastava effettuare una semplice ricerca inversa per immagini, oppure utilizzare software di controllo qualità in fase di produzione, per scoprire che quei contenuti non erano originali. Le texture di Hook erano pubblicate online fin dal 2017, visibili a chiunque. La mancata verifica solleva interrogativi sull’intero processo di approvazione artistica all’interno di Bungie.

La situazione è ancora più preoccupante se si considera che Marathon è un progetto molto ambizioso, con un budget elevato e alte aspettative da parte dei fan. In questi casi, ci si aspetta un livello di professionalità e attenzione ai dettagli decisamente superiore. Eppure, nonostante le risorse a disposizione, è bastata una svista – o peggio – per compromettere la reputazione del gioco ancor prima della sua uscita. Teniamo presente inoltre che la ricezione della closed alpha non è stata esattamente entusiastica da parte della community, dunque la situazione non ha fatto altro che aggravarsi.

La comunicazione interna all’azienda, a quanto pare, è stata caotica. Diversi dipendenti avrebbero saputo della vicenda solo tramite i social media o notizie online, senza alcun confronto diretto con i responsabili del team. Questo tipo di gestione opaca non fa che alimentare tensioni e malcontento, in un ambiente lavorativo che, secondo alcune fonti, è già segnato da timori e incertezze.

Si vocifera infatti che il fallimento di Marathon, nel caso in cui dovesse rivelarsi un flop commerciale, potrebbe portare a decisioni drastiche da parte di Sony, proprietaria di Bungie dal 2022. Tra le ipotesi in discussione ci sarebbero la chiusura dello studio o il suo assorbimento all’interno di altre divisioni, con una redistribuzione del personale.

Questa pressione potrebbe spiegare, almeno in parte, l’atmosfera tesa e alcune scelte discutibili compiute durante lo sviluppo. Tuttavia, anche in un contesto difficile, certe azioni restano inaccettabili. La responsabilità non può essere addossata solo al singolo individuo che ha inserito gli asset rubati, ma va condivisa da chi doveva vigilare, approvare e garantire standard qualitativi adeguati.

Il danno d’immagine per Bungie è enorme. Un furto creativo di questo tipo non solo mette in discussione l’etica professionale dello studio, ma apre anche a possibili conseguenze legali. Hook, come ogni artista, ha il diritto di vedere rispettato il proprio lavoro. Collaborare con lei, pagarla per utilizzare i suoi asset o persino assumerla sarebbero stati gesti di apertura e rispetto. Invece, si è scelta la strada più rapida e dannosa: quella dell’appropriazione indebita.

Se un grande studio come Bungie, con anni di esperienza e milioni di dollari di budget, arriva a utilizzare asset rubati per un gioco come Marathon, saccheggiando contenuti da Internet senza alcun controllo, cosa possiamo aspettarci dalle aziende più piccole? Questo caso rischia di diventare emblematico, e potrebbe finalmente spingere il settore a riflettere seriamente sul valore del lavoro artistico, sull’etica nella produzione e sulla necessità di sistemi più trasparenti.

La questione degli asset rubati in Marathon da parte di Bungie è molto più di una semplice disattenzione: è il sintomo di una crisi profonda in un’industria che spesso mette la velocità e la produzione davanti al rispetto e alla qualità. E a pagarne il prezzo, ancora una volta, è chi crea.

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