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Alien Covenant – Recensione

Con un certo imbarazzo confesso che dai miei 6 ai 12 anni, ogni volta che entravo in una stanza al buio, il mio riflesso condizionato dopo aver acceso la luce era sempre di guardare il soffitto per accertarmi che non ci fosse nessuno xenomorfo pronto a uccidermi. Questo giusto per darvi un’idea dell’impatto che Alien, Aliens e Alien 3 hanno avuto sulla mia infanzia. Certo, essendo all’epoca un bambino è anche normale che film del genere possano avermi un po’ segnato, ma li adoravo, ci sono cresciuto, ho apprezzato l’horror di Scott, l’azione di Cameron e la suspense di Finch.
Ho continuato a seguire la serie negli anni, tra la delusione di Alien 4 e le porcate fatte con Alien Vs Predator.
Poi è stato il turno di Prometheus, un film che mi è piaciuto, ma che tutto sommato non ha molto a che vedere con Alien, potrebbe perfettamente essere un prodotto a sé.
Con il nuovo Alien Covenant le cose sono piuttosto diverse, parliamone un po’, come sempre senza fare spoiler.

Alien Covenant

Ridley Scott è sempre stato a mio parere un regista terribilmente incostante dal punto di vista qualitativo. Ha sfornato capolavori come Blade Runner, Alien e Il Gladiatore, ma ha anche toppato alla grande più e più volte. Altre volte si è limitato a fare dei film “buoni”, ma con un background del genere è anche normale aspettarsi l’eccellenza. Proprio l’hype e l’aspettativa sono con ogni probabilità ciò che puntualmente porta i fan a massacrare il povero (si fa per dire) Scott.
Alien Covenant è un film gradevole ma con un sacco di difetti, parecchie mancanze dal punto di vista registico e alcune scelte nella sceneggiatura che non mi sento di condividere.

Il film parte approfondendo i contenuti filosofico-esistenziali accennati in Prometheus. Si parla di Dio, del concetto di creazione, del “Padre” nel più ampio senso del termine. Si suggerisce come il ruolo dell’essere umano sia divenuto comparabile a quello di Dio, se messo in relazione al nostro creato, le macchine, le intelligenze cosiddette artificiali, fatte per pensare in modo sempre più simile al nostro. Macchine di cui abbiamo bisogno e che ci terrorizzano, che ci semplificano la vita ma che più e più volte danno prova della loro superiorità in una miriade di campi.
Tantissimi libri e film prendono spunto dalle nostre paure parlando di rivoluzioni da parte delle intelligenze artificiali, basti pensare a prodotti celebri come Matrix o Terminator con il suo Skynet. Il capostipite di questo filone pseudo-evolutivo va probabilmente ricercato in Katsuhiro Otomo con il suo straordinario Akira, cartone animato datato 1982 che ha aperto la strada a questo genere. Si potrebbe dire che il problema fondamentale a questo punto è che è stato detto tutto, esistono prodotti che affrontano questo tema in maniera profonda, dettagliata e toccante. Tra questi non si possono non menzionare Ghost in the Shell e Innocence, entrambi di Mamoru Oshii, ma anche il sublime mediometraggio animato Magnetic Rose, anch’esso guarda caso di Katsuhiro Otomo.

Alien Covenant inizia bene, mettendo contenuti interessanti sul fuoco e proseguendo poi con una sequenza movimentata che non ci si aspetta di trovare nei primi minuti di un film. Ci si rammarica quindi del piccolissimo cameo di James Franco, attore che avrebbe certamente giovato a un cast che a parte Fassbender lascia un bel po’ a desiderare.
In effetti proprio l’androide di Michael Fassbender è protagonista indiscusso della vicenda, ruba la scena ai personaggi umani e risulta intrigante molto più che in Prometheus. Ridley Scott prova a proporre una nuova eroina femminile, che a mio avviso è però deficitaria sotto innumerevoli punti di vista. E’ come se il regista fosse rimasto troppo ancorato al personaggio di Ellen Ripley della prima tetralogia e cercasse in ogni modo di riproporre una donna forte, del tutto indipendente, in una parola “cazzuta”.
In Prometheus avevamo la dottoressa Elizabeth Shaw interpretata da Noomi Rapace, questa volta c’è l’ufficiale Daniels, cui presta il volto Katherine Waterston. Entrambe subiscono una forte perdita affettiva durante i film, entrambe si dimostrano fortissime, entrambe se ne vanno in giro con il classico completino “alla Ripley”, che non si capisce bene se sia auto-citazionismo o che altro. Il punto è che c’è una mancanza di inventiva quasi cronicizzata, evidente nel personaggio femminile così come nella scelta di un finale che solleverà ben più di un déjà vu negli appassionati di vecchia data.

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Scott non dà il massimo di sé nemmeno nella gestione dell’equipaggio. In Alien Covenant abbiamo la “carne da macello”, personaggi inseriti giusto per essere uccisi a un certo punto del film, del tutto privi di spessore e a cui risulta del tutto impossibile affezionarsi. Naturalmente se uno xenomorfo sfonda il cranio di uno di questi signori allo spettatore non può fregare di meno. E’ diverso rispetto ai vari Hudson, Hicks e Vasquez creati da James Cameron nel secondo episodio della serie.
In effetti è un bel problema, amplificato da una qualità della recitazione mediocre un po’ da parte di tutti, a parte Fassbender che viene comunque aiutato dal fatto di interpretare un androide. Ci sono poi dialoghi che tra gli esseri umani sembrano solo dei riempitivi, banali, poco interessanti. Situazione inversa, come accennavo, per quanto riguarda discorsi relativi all’esistenzialismo e al valore della capacità creativa che è insito nell’uomo, e che può rappresentare un pericolo gigantesco proprio a causa del nostro essere imperfetti. Un creatore imperfetto genera creazioni imperfette che si spiralizzano in un auto-annichilimento spaventosamente perfetto. Questa catena ininterrotta – secondo Alien Covenant – sfocia nella distruzione e crea evoluzione, vige la legge del più forte e del più subdolo.
Sono temi interessanti, non approfonditi come nelle opere giapponesi citate più sopra ma sanno comunque toccare le corde giuste per invitare alla riflessione.
Ridley Scott ha qualcosa da dire. Se Alien era “semplicemente” un horror sci-fi, Prometheus ha lasciato intuire che il regista volesse condividere con noi dei messaggi. Con Alien Covenant diventa tutto molto più chiaro, si delinea una visione per certi versi spaventosa ma anche affascinante.

Non posso quindi non rammaricarmi per il fatto che la trama del film risulti così dannatamente prevedibile e del tutto priva di colpi di scena. Scott ci prova in realtà, ma in nessun caso riesce a stare davanti allo spettatore, avviene tutto ciò che ci aspettiamo, minuto dopo minuto.
E’ fastidioso soprattutto sul finale, quando uno dei personaggi sembra in preda a demenza e non comprende una cosa che sarà invece chiarissima per chi guarda. Non perché siamo intelligenti, non perché abbiamo informazioni in più. Semplicemente non ci arriva…

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Dopo tutte queste cattiverie non mi sento comunque di bocciare questa produzione. Alien Covenant è interessante per tutti i fan di questa serie, fa finalmente luce sulle origini dello xenomorfo e lascia intendere come sia riuscito a diffondersi nello spazio.
Sia le sequenze d’azione che la caratterizzazione dei personaggi lasciano a desiderare, ma il personaggio interpretato da Fassbender ruba agilmente la scena e si impone senza fare complimenti. In questo caso i dialoghi risultano piacevoli, scorrono bene.
In generale è un film che mi sento di consigliare agli appassionati di Alien. Con ogni probabilità se vi è piaciuto Prometheus vi piacerà anche Alien Covenant. Non è un horror come il primo film della serie, né un action come il secondo. Si tratta di una specie di ibrido che approfondisce il lore, la storia e fa un bel po’ di chiarezza sullo xenomorfo.
Non aspettatevi un capolavoro, ma è comunque una maniera gradevole di passare un paio d’ore, se apprezzate questo franchise.

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