As Long As You’re Here è un’avventura narrativa indipendente sviluppata e pubblicata da Autoscopia Interactive. Il usa il tema dell’Alzheimer per affrontando argomenti sensibili come la memoria, l’invecchiamento, la perdita delle persone care. È pensato come un’esperienza lenta, introspettiva e personale, indirizzata a tutti quei giocatori alla ricerca di un racconto toccante, che magari si sono ritrovati – loro malgrado – in una situazione del genere nella propria vita.
Il gioco è disponibile a partire dal 28 ottobre 2025 su PC Windows tramite Steam (tranquillamente giocabile su Steam Deck), ma non sono presenti purtroppo i sottotitoli in lingua italiana. Lo sviluppatore ci ha inviato un codice di attivazione per testare il prodotto, ed ecco quindi la nostra recensione. 
Il giocatore vive la storia attraverso gli occhi di Annie, una donna anziana che si trova nelle prime fasi dell’Alzheimer. Al posto di combattimenti o sfide meccaniche, il fulcro è l’esperienza emotiva: osservare la sua quotidianità, affrontare con lei la perdita di lucidità e vedere come cambiano i rapporti con i suoi figli nel momento in cui i ruoli si ribaltano. Annie, che ha passato una vita da figura di riferimento, si ritrova gradualmente dipendente da chi prima dipendeva da lei. È uno sguardo umano sull’invecchiamento, sul prendersi cura e sul senso di dignità quando la memoria comincia a incrinarsi.
Il passato di Annie entra costantemente nel presente. Ricordi del fratello ormai scomparso riemergono a ondate e si intrecciano con i momenti attuali. Questo gioco di memoria non è solo nostalgia: serve a dare spessore al personaggio, a mostrare chi era Annie prima della malattia, quali rimpianti porta con sé. Anche i figli di Annie sono scritti con attenzione. Non sono solo personaggi di supporto, ma persone con limiti, fatiche e punti di vista diversi su come assisterla. Il modo in cui reagiscono alla sua fragilità – con pazienza, con tensione, con paura – diventa parte integrante del racconto.
Sul piano del gameplay, As Long As You’re Here è soprattutto un’esperienza di esplorazione in prima persona. Si cammina tra ambienti che rappresentano sia la vita attuale di Annie sia spazi della sua memoria, si osservano oggetti, si compiono azioni quotidiane, si ascoltano frammenti, si raccolgono dettagli che sbloccano parti di storia. Questo è a tutti gli effetti un walking simulator, non un videogame pensato per risolvere enigmi, ma per ascoltare e notare. La progressione è lineare, ma la lentezza è intenzionale: il gioco ti chiede di fermarti, guardare, ricordare.

As Long as You’re Here riesce a raccontare l’Alzheimer non come puro dramma, ma con delicatezza, come condizione quotidiana fatta di momenti belli e momenti di paura, di vicinanza e di frustrazione, di amore e fatica. La relazione tra madre che sta perdendo pezzi di sé e figli che cercano di tenerla ancorata è il cuore emotivo del gioco, e raramente nei videogiochi questo tipo di rapporto familiare viene trattato con tanta umanità.
Ci sono aspetti che potrebbero essere migliorati, soprattutto sul fronte dell’interazione, ma è una “mancanza” strutturale tipica della stragrande maggioranza dei walking simulator. Parliamo di meta-giochi, prodotti pensati per offrire poca interazione reale, che vogliono essere dei racconti.
Il comparto visivo tende un po’ al cartoon, forse per smorzare un minimo la pesantezza della tematica. I volti dei personaggi appaiono fuori fuoco, e qui l’interpretazione diventa più libera, quasi a dire che non importa, o che le persone stesse vengono sfumate fino a smettere di essere davvero riconoscibili. Quale che sia il motivo, il comparto visivo è comunque funzionale al progetto, senza strafare, ma anche senza peccare in mediocrità.
Consigliato
As Long As You’re Here è un progetto dal respiro intimo e dalla mira precisa. Non punta allo spettacolo, ma alla sincerità. Invita a rallentare, ad ascoltare, a stare dentro la vulnerabilità degli altri senza scappare. È un gioco che parla di memoria, cura e identità, e lo fa con rispetto. Anche senza inseguire sistemi complessi o colpi di scena forzati, riesce a lasciare qualcosa addosso. Non ti mette nei panni dell’eroe che aggiusta il mondo, ma di una donna anziana che prova a non perdersi dentro il proprio mondo.

