Negli ultimi anni, Sony ha dovuto fare i conti con una serie di scelte strategiche rivelatesi fallimentari, in particolare per quanto riguarda i giochi live service. È ormai confermato che ben nove progetti di questo tipo sono stati cancellati, con altri titoli – come Marathon – ancora sospesi tra incertezza e rischio di cancellazione. Il risultato è stato un ingente spreco di risorse e tempo: diversi team interni si sono concentrati su prodotti che non vedranno mai la luce. Una mole di lavoro svanita nel nulla, che Sony dovrà ora tentare di recuperare, ammesso che sia possibile farlo in tempi accettabili.
Tutto questo ha avuto conseguenze dirette sul supporto a PlayStation 5. A oggi, è difficile negare che l’attuale generazione sia stata finora caratterizzata da un sostegno first party sorprendentemente debole. I cicli di sviluppo sono lunghi, certo, ma è evidente che Sony si ritrova a dover ripartire da capo in molte direzioni. I nuovi progetti sono probabilmente già in cantiere, ma ci vorrà del tempo prima che arrivino risultati tangibili.
In questo contesto è intervenuto Hermen Hulst, dichiarando che l’obiettivo è quello di pubblicare almeno un titolo “tentpole” (una sorta di grande gioco che faccia da cardine) ogni anno. Ma attenzione: Hulst parla di giochi single player su PlayStation, non specifica se si tratti di produzioni first party. Questo apre la porta a interpretazioni più ambigue, perché un titolo esclusivo PlayStation non è per forza prodotto dagli sviluppatori interni. Potrebbe benissimo trattarsi di videogame come Death Stranding, nato da una collaborazione esterna, o da contratti di esclusività temporanea con terze parti.

Il problema non è tanto la quantità in sé – un gioco importante all’anno potrebbe anche andare bene – quanto la qualità e soprattutto la provenienza delle produzioni. Se queste uscite annuali vengono intervallate con remaster, remake o giochi commissionati a team esterni, si potrebbero in qualche modo riempire i buchi nel calendario. L’obiettivo dovrebbe essere quello di fornire esperienze originali, create internamente dai team PlayStation Studios, alternandoli a produzioni minori. Solo così si può parlare realmente di un’identità forte per la console.
Alcuni utenti hanno provato a ricostruire una cronologia di questi videogame importanti rilasciati negli ultimi anni, citando nel 2020 The Last of Us Parte II e Ghost of Tsushima – due titoli che effettivamente hanno rappresentato una copertura di alto profilo. Nel 2021 si è passati a Returnal e Ratchet & Clank: Rift Apart, ma già qui iniziano i dubbi. Returnal è un ottimo titolo, ma per budget e ambizione resta nella fascia dei cosiddetti “doppia A”, un segmento che, pur fondamentale, non può sostenere da solo il prestigio della console.
Bene il 2022, con Horizon Forbidden West e God of War Ragnarök, due produzioni robuste che hanno retto l’annata. Nel 2023 è stato il turno di Spider-Man 2, altro titolo di punta. Ma nel 2024, se il fiore all’occhiello diventa Astrobot – un gioco a budget contenuto, che la stessa Sony non si aspettasse di vendere così bene – allora il bilancio inizia a scricchiolare. Il vero titolo di richiamo di Sony per il 2025 doveva essere Concord, un live service rivelatosi uno dei più grandi disastri della storia del gaming.
Quest’anno si riuscirà comunque a tamponare (si spera) con Ghost of Yotei e Death Stranding 2. Ma, ancora una volta, si torna alla questione di fondo: Kojima Productions non è uno studio interno, e Death Stranding 2 è una produzione esterna. È giusto considerarla una colonna portante dell’offerta PlayStation? Oppure si tratta solo di una soluzione di comodo, per mascherare il vuoto lasciato dai live service cancellati?
Sarebbe auspicabile un ritorno alla strategia adottata ai tempi di PS1 e in parte su PS2, dove Sony stipulava accordi di esclusività mirati con terze parti, senza però perdere di vista lo sviluppo interno. L’ecosistema PlayStation si è costruito sulla forza delle sue IP proprietarie. Oggi, inoltre, la guerra delle esclusive ha perso parte della sua rilevanza, soprattutto se consideriamo che Microsoft, nonostante le ambizioni, fatica a rappresentare una reale minaccia sul piano hardware.
La verità è che Sony non ha più bisogno, almeno non come un tempo, di imporsi sul mercato con titoli esclusivi, non ha una competizione abbastanza forte da rappresentare un problema. Ma se scegliesse di farlo, dovrebbe farlo bene. Un solo gioco di grande calibro all’anno non basta. In questo senso, sarebbe logico aspettarsi una combinazione più equilibrata tra produzioni grosse e progetti più contenuti, magari con una maggiore varietà tematica e sperimentale.
È stato giustamente osservato che, mentre Sony punta su una produzione di punta all’anno, Nintendo riesce a pubblicare nel medesimo arco di tempo più titoli significativi: un nuovo Mario Kart, un Donkey Kong, un Metroid e tutta una sfilza di remaster. È evidente che la strategia Nintendo è più agile e reattiva, pur mantenendo altissimi standard qualitativi. Un diverso approccio allo sviluppo e agli investimenti.
Sony, invece, sembra essersi incagliata in una filosofia da tripla A estremo, dove ogni progetto richiede tempi e budget titanici, con conseguente riduzione dell’offerta. È proprio in questi spazi vuoti che il pubblico inizia a percepire un vuoto creativo, e rischia di allontanarsi da una piattaforma che appare sempre meno vitale rispetto al passato.