Negli ultimi giorni ho avuto modo di giocare a Flesh Made Fear, un titolo che sin dai primi minuti si propone come un omaggio sincero ai capisaldi del survival horror classico, richiamando alla mente l’estetica e la filosofia ludica di Resident Evil e Silent Hill. Tuttavia Flesh Made Fear non si limita a imitare quel linguaggio, ma riprende e rielabora in modo consapevole lo spirito dell’era PS1, sfruttando deliberatamente le sue caratteristiche tecniche e artistiche per costruire un’esperienza moderna che però si nutre della tradizione.
Il gioco abbraccia senza esitazione l’estetica low-poly e le texture sgranate tipiche dei titoli d’epoca, affiancandole a inquadrature fisse e a un movimento rigidamente strutturato su comandi tank, rendendo le limitazioni stilistiche un elemento identitario.
Sviluppato da Tainted Pact, Flesh Made Fear è disponibile dal 31 Ottobre 2025 su PC Windows tramite Steam (certificazione Giocabile su Steam Deck, dove è proposto a 17,99€. Purtroppo è presente solo la lingua inglese. Il publisher Assemble Entertainment ci ha mandato una chiave di attivazione per procedere con la nostra analisi.
All’inizio dell’avventura viene offerta una scelta tra due protagonisti: Jack, più robusto e resistente ma con un inventario limitato, e Natalie, più fragile ma dotata di maggiore capacità di trasporto oggetti. Si interpreta un membro della squadra d’élite R.I.P., inviato nella città di Rotwood per fermare gli esperimenti del dottor Victor. L’impostazione narrativa è fedele ai canoni: la squadra si divide quasi subito, interrompendo ogni supporto esterno e lasciandoci soli in un ambiente ostile. Rotwood, con le sue strade soffocate dagli alberi e i suoi edifici decadenti, emerge come un’entità viva e minacciosa, quasi un personaggio aggiuntivo.
Il ritmo di gioco è volutamente lento e teso, scandito dalla sensazione di peso fisico tipica dei controlli tank: ogni rotazione influisce sulla visuale, ogni passo è ponderato. Le telecamere fisse contribuiscono a un senso di impotenza e di vulnerabilità, poiché limitano la visuale e ci costringono a immaginare cosa possa trovarsi immediatamente fuori dall’inquadratura. Questo si combina con un sound design notevole, fatto di gemiti lontani, scricchiolii, passi incerti nei corridoi, rumori improvvisi e silenzi strategici: un lavoro acustico raffinato che amplifica l’immersione e mantiene costantemente alta la tensione.
Accanto all’impianto tradizionale, Flesh Made Fear introduce alcune migliorie moderne che alleggeriscono l’esperienza e la rendono più accessibile. La ricarica semplificata delle armi evita l’eccesso di microgestione, mentre il tasto di schivata dedicato – una sorta di piccolo dash – permette di evitare grab e attacchi nemici con una reattività non comune ai classici del genere. Tra le aggiunte più interessanti figura l’uso del doppio coltello fin dall’inizio, che consente rapide combinazioni ravvicinate, utili soprattutto quando si viene circondati da numerosi nemici. Questa meccanica incoraggia a non fare totale affidamento sulle armi da fuoco e introduce un piacevole combattimento ravvicinato.

L’esplorazione di Rotwood è incentivata da peluche collezionabili e da numerose note testuali disseminate negli ambienti, utili ad approfondire la lore della città e il suo decadimento. Gli enigmi hanno in media un buon equilibrio fra sfida e accessibilità, non risultano banali ma nemmeno frustranti, e si integrano nell’esplorazione. Le zone di salvataggio e le casse deposito sono posizionate con attenzione, sufficientemente distribuite da ridurre gli spostamenti inutili, evitando frustrazione.
La durata complessiva dell’avventura è equilibrata e la presenza di diversi finali incoraggia la rigiocabilità, soprattutto per chi desidera padroneggiare il gameplay o scoprire varianti narrative.
Nonostante i numerosi pregi, vale la pena sottolineare alcuni limiti. La rigidità tipica dei comandi tank e delle inquadrature fisse, per quanto coerente con il progetto stilistico, può scoraggiare i giocatori che si avvicinano al survival horror per la prima volta o quelli abituati a esperienze più dinamiche e intuitive. In alcuni ambienti interni, l’eccessiva oscurità può risultare frustrante, ostacolando la percezione spaziale e rendendo difficile reagire ai nemici che si avvicinano fuori dalla visuale. Un ulteriore elemento migliorabile è la recitazione vocale, che risulta talvolta innaturale o poco evocativa, creando uno stacco percepibile rispetto al resto del comparto sonoro.
PRO
+ Atmosfera fedele ai survival horror PS1
+ Sound design forte, coerente e suggestivo
+ Enigmi ben misurati e mai eccessivi
+ Colonna sonora di forte impatto
+ Buon bilanciamento tra nostalgia e modernità
CONTRO
– Comandi tank potenzialmente ostici per alcuni giocatori
– Illuminazione spesso troppo scura negli interni
– Doppiaggio non sempre all’altezza del resto del comparto audio
– Densità nemica talvolta eccessiva negli spazi stretti
– Recitazione vocale poco convincente
– L’alta densità nemica può portare a frustranti accerchiamenti
CONSIGLIATO
Flesh Made Fear è un titolo ben costruito, fedele all’estetica e alla grammatica del survival horror classico, ma capace di attualizzarlo con buone migliorie. È consigliato soprattutto agli amanti del genere, a chi apprezza l’approccio metodico, la tensione crescente e la gestione delle risorse. Rappresenta un buon entry level per chi vuole scoprire questo stile di gioco, ma richiede la disponibilità ad accettare certe rigidità meccaniche. Chi si aspetta un controllo moderno e scattante o un impostazione action potrebbe trovarlo ostico. Chi ama la paura costruita sull’attesa, sull’assenza di controllo e sull’ignoto invece lo troverà estremamente soddisfacente.

