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Kingdom Come Deliverance – Recensione

I grandi GDR moderni continuano da tempo ormai su un progressivo decadimento. Dipende da semplificazioni meccaniche eccessive, storyline sempre più banali e mondi di gioco immensi ma poco interessanti. Alcuni studi particolarmente coraggiosi scelgono di tentare un approccio old school alla formula, cercando di tornare a un fascino dei tempi andati.
Lo abbiamo visto di recente con Elex e Seven: the Days Long Gone, titoli ambiziosi molto apprezzati dai puristi e dai giocatori di vecchia data, ma non esenti da difetti. Si tratta comunque di nicchie, e non è un mistero che la stragrande maggioranza dei publisher “tripla A” si tenga alla larga da questo tipo di design. Puntano sull’immediatezza, sull’accessibilità, sul tenere impegnati piuttosto che sull’intrigare i giocatori.

Kingdom Come Deliverance

Ad andare controcorrente, stavolta, è il team ceco Warhorse Studios, per l’occasione supportato da Deep Silver. Ispirato senza dubbio dai colleghi di Larian e CD Projekt RED, lo studio con sede a Praga rilascia il più ambizioso “simulatore di medioevo” su piazza, vale a dire Kingdom Come Deliverance. Si tratta di un GDR in prima persona con elementi survival ambientato nella Boemia medievale.
La trama è legata a doppio filo con gli importanti avvenimenti storici del periodo. Tutto parte dall’incoronazione del re Venceslao IV, succeduto a Carlo IV nella guida del regno. Il momento di serenità finisce presto con il rapimento dello stesso Venceslao e l’ascesa al potere del fratello Sigismondo, che decide di invadere l’intera nazione con il suo esercito. A farne le spese sono principalmente piccole roccaforti e villaggi indifesi, tra cui quello natio del nostro alter ego, il giovane fabbro Henry.

Quando la sua casa viene rasa al suolo e i suoi genitori uccisi nell’assedio, a Henry non resta che fuggire nella città più vicina in cerca d’aiuto. Lì riesce ad arruolarsi nella guardia locale iniziando la pericolosa carriera del cavaliere.

Kingdom Come Deliverance – Trailer di lancio

A differenza di altri titoli Kingdom Come Deliverance non promette alcun tipo di avvenimento fantasy né basa la propria struttura sul potenziamento indiscriminato del protagonista.
Dimenticate magie, pozioni, mostri e armi incantate: qui comanda il realismo, nel bene e nel male. Il gioco rispetta con estrema fedeltà il periodo storico, offre uno spaccato approfondito sulle tradizioni del medioevo europeo. L’intreccio è sorprendentemente valido, appassionante, ricco di citazioni colte, personaggi interessanti e momenti memorabili.  Ottima anche la longevità, che si attesta sulle 40 ore di base e almeno il doppio per una run da completisti.

Kingdom Come Deliverance presenta un’impalcatura da GDR classico con qualche relativa novità. Abbiamo una missione primaria ramificata in varie sub-quest secondarie del tutto opzionali, personalizzazione e sviluppo completo dell’alter ego. Per quanto riguarda le missioni possiamo dire di essere pienamente soddisfatti in termini di varietà e spazio di manovra concesso al giocatore. Ogni obiettivo potrà essere raggiunto in diversi modi, generalmente attraverso violenza, furtività e diplomazia. Si sente che le nostre scelte e azioni contano sul serio andando a modificare l’esito degli avvenimenti anche in maniera radicale. Non esistono vincoli di alcun tipo se non quelli dettati dalla vostra coscienza.

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Kingdom Come Deliverance si presenta piuttosto bene

Proprio come in Skyrim, l’esperienza nelle singole abilità si guadagna semplicemente con l’utilizzo. Voglio affinare la destrezza con arco e spade? È sufficiente che mi alleni ai campi di addestramento oppure direttamente in battaglia. Desidero accrescere la furtività? Mi basta compiere borseggi e scassinamenti senza essere scoperto. Di tanto in tanto potrò anche scegliere una specializzazione in determinati talenti, ad esempio nell’eloquenza e nel carisma. Questi determinano ovviamente la percezione del nostro personaggio da parte degli NPC. Possedere una buona parlantina e curare il proprio aspetto regalano punti nelle conversazioni di un certo livello. Avere carisma da vendere e presentarsi sporco di sangue creano invece paura e soggezione da parte degli interlocutori. In un sistema del genere la tecnica passa in secondo piano, il senso di immersione ne giova di sicuro. Tale aspetto rappresenta una costante nella produzione Warhorse e la domina dall’inizio alla fine.

Kingdom Come Deliverance introduce anche un paio di elementi survival, ovvero fame e stanchezza. Henry, in quanto comune mortale e non semidio, necessiterà talvolta di uno spuntino e di una dormita. Come prevedibile l’assenza prolungata di entrambi comporterà il game over. Di buono c’è che sia cibo sia letti sono semplici da reperire e le barre apposite si svuotano con una velocità ragionevole. Di meno buono c’è che, alla lunga, (ma in realtà dopo meno di 3 ore) la meccanica inizierà a venire a noia rallentando artificiosamente il ritmo di gioco e costringendoci ad ascoltare le continue, snervanti, lagne del protagonista. Inoltre, se ferito gravemente, Henry avrà bisogno di bendarsi, pena l’emorragia e dunque la morte; stesso discorso se mangeremo cibo avariato beccandoci una fantastica intossicazione alimentare. Sinceramente penso che inserire più livelli di difficoltà survival ben diversificati come in Subnautica sarebbe stata la scelta più sensata.

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L’arco è utile solo da distanze relativamente ravvicinate

Sempre sulla scia del cosiddetto realismo, gli sviluppatori hanno ben pensato di limitare drasticamente i salvataggi rapidi. In sostanza l’unico modo che avremo di salvare il gioco sarà intraprendere una missione, dormire nel nostro letto o acquistare un costoso liquore. Bella idea, questa, soprattutto quando ci ritroveremo a perdere ore di progressi a causa di una morte accidentale come la caduta da una ripida collina. Meglio ancora quando il gioco deciderà di freezarsi e crashare all’improvviso scatenando il nostro Germano Mosconi interiore (torneremo a breve sui problemi tecnici ahimè vistosi del titolo).

Non è esente da magagne neanche il sistema di combattimento, pur avendo dietro una filosofia di design secondo noi più adeguata. Il pezzo forte di questo combat system risiede nella fisicità di ogni movimento e colpo d’arma bianca. Ricordate Chivalry? Funziona in modo simile, soltanto che qui è possibile direzionare i fendenti e pararsi da diverse angolazioni come in For Honor. Si può anche schivare, parare respingendo gli assalti nemici al momento giusto, infilzare con la punta dell’arma e concatenare alcune manovre finché non si esaurisce il vigore, ovvero la resistenza fisica. Se ho gradito lo stile, non posso dire altrettanto dell’esecuzione poiché il tutto risulta parecchio lento e poco responsivo. Stesso dicasi del tiro con l’arco, reso pressoché inutile nelle lunghe gittate dall’assenza di un mirino.

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A cavallo, ovviamente in prima persona

La lentezza, come avrete già capito, pervade l’intero titolo. Tutto ma proprio tutto, in Kingdom Come Deliverance, prende il triplo del tempo necessario. A partire dalle animazioni, onnipresenti e dilatate come in nessun altro videogame. 2-3 secondi per raccogliere un oggetto da terra, 7-8 per usare una piccola scala, 4-5 per sedersi e così via. Capite bene che tipo di ritmica possiate aspettarvi da un gioco del genere, no? Peraltro non ci viene data tregua nemmeno durante i viaggi rapidi e l’attesa fino ad un orario prestabilito, dal momento che le transizioni sono tutt’altro che immediate. Caricamenti lunghi e frequenti aggravano ulteriormente la situazione rendendo Kingdom Come Deliverance un vero simulatore di crescita di barba, oltre che di medioevo.

Il comparto grafico sfoggia le potenzialità del CryEngine anche su PS4 Pro. Ottima la resa cromatica, discreto il livello di dettaglio di flora, acqua e terreno, buoni i modelli (ma animazioni facciali tristi), illuminazione e post processing. Sufficiente il sonoro, che offre ballate medievali riprodotte con liuto e strumenti dell’epoca. Purtroppo il Boeing 747 di casa Sony non riesce a far girare Deliverance a un framerate accettabile, si mantiene tra i 20 e i 30fps. Sto preferendo buttarla sul ridere perché la situazione tecnica appare quasi disastrosa, se a tutto quello che ho appena detto aggiungiamo una valanga di bug e glitch di seria entità e crash/freeze a profusione. Vi auguro di non incapparci prima di aver salvato il gioco. A me è successo più volte, ho perso circa un’ora di progressi, oltre a una fetta della mia sanità mentale. Dopo una patch da 23GB, mi aspettavo qualcosa di più.

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A parte il framerate la grafica di Kingdom Come Deliverance è piacevole

Kingdom Come Deliverance è il perfetto esempio di come il realismo nei videogiochi vada dosato con estrema cautela. Gli aspetti simulativi possono sì aumentare l’immersione ma basta sforare anche di poco per rovinare l’intera esperienza e annoiare l’utente. Qui il problema viene esasperato dall’incredibile lentezza della ritmica, delle animazioni e dall’inutile complessità di certe meccaniche. Senza parlare dei problemi tecnici, che in un titolo di questa taratura fanno decisamente storcere il naso.
Bisogna comunque dare a Cesare quel che è di Cesare, infatti dal punto di vista storico, narrativo e nella costruzione del mondo Warhorse ha svolto un lavoro eccellente. Immersività e libertà d’azione sono le parole chiave. In tal senso il titolo si distanzia enormemente dai linearissimi GDR moderni, consentendoci di plasmare l’avventura a nostro completo piacimento. Senz’altro una boccata d’aria fresca nel genere, nonostante si rivolga ad una nicchia piuttosto specifica di giocatori.

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