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[Speciale] Wii U: è davvero un fallimento?

Esistono dei fatti, ed esistono delle supposizioni. Poi esiste la percezione di ciascuno, personalissima, per niente assoluta.
Il fatto da cui mi piacerebbe partire quest’oggi è molto semplice, è sotto gli occhi di tutti ormai da tempo, ma solo di recente è stato in qualche modo ufficializzato da interessanti riscontri tra dati di vendita presenti e passati.
Fatto: Wii U è la console meno venduta della storia di Nintendo (escludiamo per forza di cose VirtualBoy e Nintendo 64DD). I numeri odierni parlano di circa 9 milioni di unità piazzate sul mercato dopo più di due anni dal lancio. E’ un tutto sommato simile a quanto fatto registrare da Dreamcast, l’ultima console fissa di SEGA.

Cosa è andato storto?

Le cause del mancato successo commerciale di Wii U sono state chiare fin da subito: la prima presentazione della console ha generato parecchia confusione sia tra gli acquirenti che addirittura tra la stampa specializzata, che non ha ben capito se Wii U fosse in effetti una piattaforma nuova o un semplice accessorio da aggiungere a Wii. Il problema fondamentale è stato il voler insistere sul controller, senza effettivamente dedicare uno spazio sufficiente alla console in sé, relegata ad un angolo semi nascosto e ad una fastidiosa sfocatura perfino nel video di presentazione.

Allo stesso modo, scegliere un nome che richiamasse così da vicino l’originale Wii, si è rivelato essere una lama a doppio taglio: vero è infatti che l’enorme base installata della precedente console avrebbe in qualche modo potuto sentirsi interessata, ma altrettanto vero è che l’utente casual (ovvero la stragrande maggioranza dei giocatori Wii) non si documenta sulle nuove uscite, non segue un qualsiasi E3, né certamente andrà a cercare notizie online sugli ultimi ritrovati di questa o quell’altra azienda, preferendo piuttosto basarsi sul classico passaparola.

Come se ciò non bastasse, l’offerta software di Wii U ha immediatamente puntato a un pubblico hardcore, strategia opposta rispetto a quanto fatto con Wii. Tale scelta è stata motivata forse dalla volontà di riaccaparrarsi quegli utenti delusi dalla precedente generazione, operazione al momento riuscita.
Ci sono tuttavia dei dubbi che non è possibile ignorare: perché annunciare la console insieme a demo palesemente indirizzate verso l’utenza casual? Perché puntare sui Mii negli stessi video dopo le innumerevoli critiche che proprio gli hardcore avevano mosso nei confronti delle scarse performance di Wii? Perché concentrarsi su Balance Board, accessori per pistole e gimmick palesemente casual, remake di titoli già sul mercato da più di un anno, se poi l’interesse erano davvero gli hardcore gamers?
Come potete vedere, c’è stata una confusione notevole nei piani commerciali dell’azienda, che ha spinto per una presentazione che puntasse al casual gaming, dando un contentino agli hardcore con un breve teaser dedicato a Zelda. Se invece guardiamo la situazione presente, Wii U è una console che di casual non ha assolutamente nulla: è infatti la piattaforma con il più alto numero di esclusive pensate per un pubblico di veterani, ed è quasi del tutto sprovvista dei “giochini” che hanno fatto la fortuna del suo predecessore. Che sia stato un cambiamento di idee strada facendo? Che ci si aspettasse un diverso successo dai vari Nintendoland?

Quale che sia la causa, Nintendo non ha saputo spingere lato marketing abbastanza da far presa sul pubblico disinformato, e allo stesso tempo ha deluso i veterani che – ancora una volta – hanno visto allontanare da Wii U tutte le software house e i publisher più importanti.

Ancora una volta si è dunque delineata una situazione di isolamento, che ormai permane dai tempi di Nintendo 64, isolamento causato di volta in volta da motivi differenti, sempre tuttavia determinanti.
Le vetuste cartucce da una parte, la base installata di GameCube, la playerbase del tutto disinteressata di Wii (ricordiamo che il ratio hardware/software di Wii è il più basso della storia delle console), e nuovamente una playerbase insoddisfacente durante la generazione corrente.
Nintendo ha dalla sua un incredibile numero di strumenti che si rifiuta di utilizzare, ancorandosi a una testardaggine che ricorda il lato peggiore di Yamauchi, e che nel presente danneggia l’azienda, gli investitori, i giocatori, e l’industria tutta.
Il colosso di Kyoto ha una enorme liquidità, buona parte della quale deriva dall’eccellente ricezione di DS e Wii durante la passata generazione. L’azienda potrebbe strappare esclusive a suon di milioni, accaparrarsi franchise di sviluppatori third party, invitare grazie a costi di sviluppo notevolmente inferiori rispetto alle concorrenti, giocare con le royalties per ricostruire il rapporto con aziende del tutto disinteressate a lavorare su Nintendo, finanziare gli studi indie più promettenti. Se lo volesse, Nintendo potrebbe addirittura comprare interi team di sviluppo di primissimo livello. Ma a tutte queste possibilità si contrappone l’ostinazione verso un “farcela da soli” che francamente è solo dannosa, un po’ per tutti.
Ben vengano idee riuscite come gli Amiibo per riportare liquidità nelle casse, ben venga l’utilizzo dei franchise in ambiti che non siano strettamente legati ai videogames, ma secondo il mio personalissimo punto di vista esistono maniere molto più furbe di utilizzare il proprio capitale.

Il problema fondamentale delle aziende di queste dimensioni, è che mantenere la baracca costa, dunque il fallimento di un’idea significa non poter contare su introiti tali da poter pagare tutti i dipendenti e mantenere tutte le strutture. Da qui il rosso in bilancio, il passivo che non ci si scrolla di dosso, da qui situazioni che a volte degenerano e portano a licenziamenti di massa, come negli scorsi anni è avvenuto in casa Sony.
Diversificare l’offerta e puntare su più ambiti diventa allora fondamentale, motivo per cui Nintendo sta investendo su prodotti a metà tra il videogame e il giocattolo (gli Amiibo per l’appunto), il cinema e chissà che altro. Diversificare significa però anche valutare dove è bene investire, cosa conviene continuare a supportare e cosa è meglio lasciar perdere. La preoccupazione in tal senso è che gli investimenti di Nintendo possano in qualche modo venire spostati dal mondo del gaming ad altri settori dell’intrattenimento. Ma, come dice il proverbio, non è il caso di fasciarsi la testa prima di essersela rotta.

Il retaggio

Senza dubbio uno degli elementi peggio sfruttati da parte di Nintendo è ciò che gli americani chiamerebbero legacy, il retaggio di console e software antichi che hanno segnato la vita di milioni di giocatori in tutto il mondo. Le vecchie generazioni, quelle formatesi prima dell’era PlayStation, sono per forza di cose legate a Nintendo, essendo questa l’unica casa produttrice di hardware dei tempi rimasta sul mercato dopo il periodo Dreamcast.
Nintendo ha dalla sua uno stuolo di appassionati che negli anni ha goduto di numerose opzioni. A seconda dei casi i giocatori sono rimasti fedelissimi consumatori dei software della Grande N, hanno smesso di giocare, oppure sono passati ad altri lidi. A giudicare dalla quantità di possessori di Wii U è chiaro che moltissimi abbiano preferito passare ad altro, decidendo di investire il proprio denaro in Sony, Microsoft o convertendosi alla cosiddetta “master race” PCista. E’ chiaro che i gusti cambino nel tempo, e che non tutti i giocatori di venti anni fa debbano per forza continuare a giocare nel presente.
Ma è altrettanto chiaro che Nintendo non ha saputo rinnovare il proprio catalogo cercando di accompagnare la crescita di milioni e milioni di giocatori, continuando a limitare la propria produzione a titoli che avessero appeal su qualsiasi tipo di utenza, senza accontentare chi cercasse prodotti dalle atmosfere mature.
Attenzione, parliamo di atmosfere, non di giochi hardcore e simili.

Nintendo possiede nel proprio parco IP numerosi franchise, molti dei quali sono pensati per un pubblico esperto. Super Mario Bros. è un platform che può essere giocato un po’ da tutti, ma lo stesso non può dirsi per produzioni come Donkey Kong Country, storicamente molto più punitive. Mario Kart permette a chiunque di prendere un mano un pad e divertirsi, F-Zero richiede una enorme dedizione. Possiamo continuare parlando di Fire Emblem, di Metroid, di Golden Sun, di Star Fox. Possiamo certamente menzionare The Legend of Zelda.
Eppure, tralasciando minuscole e timide incursioni verso generi più maturi, esperimenti come Conker o Eternal Darkness non hanno mai goduto della spinta sufficiente per imporsi come fenomeni di massa, a dispetto del loro divenire in breve tempo dei veri e propri oggetti di culto.
I giocatori sono cresciuti, i gusti sono cambiati, Nintendo ha seguito la propria filosofia, e non c’è nulla di male in questo. Ma diventa un male nel momento in cui una enorme playerbase è costretta a migrare verso altri lidi per cercare il Metal Gear, il Resident Evil, il Gran Turismo o il Medal of Honor di turno. Diventa un male perché viene a mancare proprio quella varietà nel portafoglio delle offerte che sta alla base della riuscita di un’azienda tanto grande. Sondare il terreno è necessario, è necessario farlo con costanza, è necessario proporre qualcosa che spezzi con ciò che è standard.
Sony l’ha capito con il suo Spyro the Dragon, con il suo Crash Bandicoot, con il suo Ape Escape. Sony lancia PlayStation 4 con un prodotto come Knack, mediocre forse, ma la mossa è innegabilmente intelligente. Sony spinge con LittleBigPlanet, con Tear Away, con Jak and Daxer, con Ratchet & Clank. Ma contemporaneamente lavora con Polyphony, sa proporre Wipeout, Legend of Dragoon, Syphon Filter, Twisted Metal. E’ varietà. E il cliente vuole poter scegliere.

Nintendo ha da sempre mancato nell’offrire una sufficiente differenziazione, preferendo prodotti che abbracciassero la più larga fetta possibile di utenti, finendo però per scontentare chi in effetti cercasse qualcosa di un po’ più “estremo”. Decisioni di marketing forse, o più probabilmente la volontà di restare fedeli a una filosofia personale che, nel presente, non sta forse pagando quanto dovrebbe.

Wii U è un fallimento?

A detta di chi scrive non esistono console di per sé fallimentari, solo pianificazioni aziendali riuscite o non riuscite. Possiamo decidere di valutare il successo di una console sulla base delle unità vendute, come del resto faranno gli azionisti e tutti quegli uomini ben vestiti interessati a far soldi. Da questo punto di vista sì, è innegabile che Wii U sia una macchina fallimentare, incapace anche solo di avvicinarsi al successo economico del suo predecessore, e addirittura risultando la console in assoluto meno venduta dell’azienda.

Ma siamo giocatori, e a mio parere ciò che dovremmo valutare non sta tanto nei numeri diffusi dal NPD o dal Media Create di turno. Il successo di una console sta nei propri software, nella qualità e nella quantità di capolavori presenti nella libreria della piattaforma.
E’ il motivo per cui una console come Dreamcast non sarà mai dimenticata, sono le immagini di quell’aquila nell’intro di Shenmue, il badare a un piccolo Chao su una Visual Memory Unit, sperimentare le gioie e i dolori di un MMORPG su uno schifosissimo 56Kb quando Phantasy Star Online precorreva i tempi.
E’ il motivo per cui un giocatore ignorerà il fogging e i limiti di una cartuccia godendosi l’intro di RareWare, il piacere di un Mario finalmente tridimensionale da muovere con uno stick analogico, l’ansia di quella luna in procinto di cadere su Termina.

Da questo punto di vista Wii U ha già vinto la propria battaglia, schiacciando qualsiasi tipo di concorrenza. Remaster e remake sembrano dominare una generazione dove le reali esclusive tardano ad arrivare, e quando arrivano si traducono in giochi discreti, spesso buoni, in rarissimi casi ottimi.
Perché se il mondo è fatto di capolavori come Forza Motorsport, è anche fatto di titoli semplicemente “belli” come Sunset Overdrive.
Il presente del mondo Sony è messo anche peggio, con titoli che sarebbero dovuti essere stelle e che invece si sono rivelati solo prodotti di buona qualità, come nel caso di InFamous o di Killzone. Ottimi giochi, sia ben chiaro, ma non sono il The Last of Us che segna una generazione, non sono ICO, non sono Ocarina of Time.
E poi abbiamo Wii U, la tanto bistrattata console oggetto di questa inquisizione, una macchina poco performante forse, ma che in quanto a esclusive fa il culo a strisce a qualsiasi concorrente. Perché ci sono i titoli buoni e ci sono i titoli ottimi, ci sono i The Wonderful 101, il restyle di Wind Waker, c’è il Super Mario Bros. U, c’è Stealth Inc. 2, c’è Captain Toad. Ma ci sono anche dei classici istantanei del calibro di Bayonetta 2, di Mario Kart 8, di Super Smash Bros., Super Mario 3D World e Donkey Kong Country Tropical Freeze, Pikmin 3, titoli imprescindibili per qualsiasi vero amante del gaming che abbia una certa cultura.

Wii U è vincitore perché le sue esclusive sono straordinarie.
Wii U è perdente perché la politica Nintendo impedisce la meritata diffusione di tali capolavori.

Ora

Ora, ora, ora. Ora che succede?
Succede che nella cosiddetta “next gen” ci stiamo dentro da più di tre anni, succede che gli ignoranti corrono a comprare pleistescion perché c’è FIFA in HD, e anche se non sai cosa significhi HD ritieni comunque sia un’ottima motivazione per investire in una nuova piattaforma.
Succede che ci si scanna perché Xbox One non raggiunge i 1080p, perché The Order è troppo breve, si fanno meme sulle cazzate di Don Mattrick che giustamente viene licenziato da Microsoft, si parla di iOS e Android, dello staff di IGN che si disgrega, di COD che non soddisfa e di matchmaking che non funzionano.

Oggi Wii U non fa parte del mercato di massa, totalmente adombrata da due aziende che sanno far parlare di sé, e che a dispetto di errori impressionanti in fase di lancio stile “Kinect è assolutamente necessario per il funzionamento di Xbox One e non potrà mai essere rimosso” hanno saputo riprendersi grazie a un marketing terribilmente aggressivo, a tabelle di marcia imperfette tamponate da third party attivissime, a discussioni che lasciano il tempo che trovano ma che alimentano comunque i forum di mezzo mondo.
Nintendo ha sbagliato a non ammettere il fallimento di Wii U sostituendolo con una nuova console? Assolutamente no.
Lanciare un’altra macchina sarebbe stata un’offesa e un tradimento per tutti quei giocatori che avevano già deciso di investire in Wii U, avrebbe comportato un crollo nella percezione del marchio agli occhi di mezzo mondo, crollo che nessuna azienda può permettersi. E’ lo stesso errore compiuto da SEGA con il suo Saturn, dismesso dopo tempi fin troppo brevi, tattica che ha contribuito a sancire la morte dell’eccellente Dreamcast.
Se spendo i miei soldi per un tuo prodotto pretendo che tu supporti quel prodotto, voglio che il mio denaro sia un investimento. Da produttore devi dimostrarmi che almeno tu hai tutte le intenzioni migliori, a prescindere dal successo commerciale del dispositivo.

La cosa più sensata da fare a questo punto sarebbe forse cercare di ampliare le proprie vedute, perché sono fin troppi i parallelismi possibili tra Nintendo e altre aziende giapponesi, Square Enix e Capcom su tutte. Esiste una fortissima chiusura che è specchio di una cultura radicata, che porta queste grandi case a dare fin troppo peso all’opinione interna, senza ascoltare le richieste del resto del mondo.
Quando una casa si occupa esclusivamente di videogame è difficile avere l’elasticità necessaria ad adattarsi ai cambiamenti del mercato, specie se le aziende sono quelle appena menzionate. Ed è comprensibilissimo: veniamo da un periodo il cui il mercato giapponese dettava legge in tutto il mondo, in cui la creatività di Sakaguchi, Ueda, Miyamoto, Kojima e Inafune ispirava milioni di programmatori e designer sparsi per il globo, epoche in cui Final Fantasy era sinonimo di eccellenza, e il nome Resident Evil ispirava terrore.
Ma il mercato è cambiato, in maniera quasi repentina. Rockstar è davvero una rockstar, Activision sa incrementare da sola il PIL di una nazione come gli USA, Ubisoft diviene paradossale fonte di ispirazione artistica. E d’altra parte il Giappone crolla, forse per recessione, forse per il palese disinteresse dei nostri amici dagli occhi a mandorla verso le piattaforme fisse, ampiamente e chiaramente sostituite da 3DS, PS Vita, iOS e Android. Bisogna reagire, signori, bisogna rendersi conto che i tempi cambiano, e se non ci si adatta si muore col passato.
Il Giappone soffre di una chiusura mentale che francamente non è comprensibile, specie se pensiamo al bushido, i precetti fondamentali del samurai, tra cui la capacità di adattarsi alle situazioni e di “fluire come acqua” è uno dei punti chiave.

La risposta di Nintendo è un agrodolce Tree House, un keynote mancato, un Iwata che sparisce dalle scene e un Reggie rimasto ad appannaggio del mercato americano. La risposta di Nintendo sono i meravigliosi Amiibo, fonte di guadagni considerevoli e oggetti di culto tra i collezionisti di mezzo mondo, oggetti che vanno esauriti due mesi prima del giorno di lancio di ciascuna serie.

Ma fondamentalmente, la risposta di Nintendo è il passeggiare di un uomo anziano che, testardo, senza prestare ascolto alle voci dei passanti continua sulla sua strada, l’unica che abbia mai conosciuto.

6 commenti

  1. Cioe ce gente che dice che wiiu e l’unica vera console a poi a xbox one se cosi cosa serve un altra console come la one..ma fatemi il piacere e ammettete che wiiu con gioco all anno e una scocciatura ma come siete coerenti voi di Nintendo almeno siate onesti come noi che apprezziamo one o ps4 che non la andiamo a comprare la Wii u o diciamo si o la ps4 o one grande console pero o pure Wii e posso dire che non serve s nulla e one ps4 sono le vere console ma per favore

  2. Io ho una WiiU e ne vado fiero!!! Videogiochi come bayonetta, zombiU,toad,kong,mario,pikmin e tanti altri, sono capolavori. Poi, che Nintendo abbia sbagliato alcune mosse di marketing, nessuno lo mette in dubbio, ma da possessore pure di Xbox One, posso dire con certezza che la vera console é la WiiU.

    Saluti.

  3. Non ho una console di nuova generazione e non ho il desiderio di prenderne alcuna nel breve termine ma, razionalmente, Wii U potrebbe essere la soluzione migliore. D’altra parte, non è detto che modernizzandosi (e qui si potrebbe parlare di cosa veramente significhi modernizzarsi nel panorama attuale) si riesca ad attirare un pubblico che con Wii si era in effetti riuscire ad avvicinare.

  4. Completamente d’accordo su tutta la linea.
    Io ho un Wii U e credo di averlo acceso una sola volta: per provare Monster Hunter 3.
    Il problema dei giapponesi è proprio quello che hai detto tu, di essere così giapponesi (non che noi italiani non ci mettiamo del nostro ad essere italiani…) e così gli appassionati e nostalgici devono spendere valanghe di soldi per giocare a spin off o giochi JP Only oppure aspettare i millenni le release in occidente.
    Altro problema del* Wii U è il fatto di non aver avuto la possibilità di giocare a giochi del 3DS (TV + pad sarebbero i doppio schermo).
    Devo dire che Namco Bandai continua a venirci incontro, anche se punta a console diverse dal* Wii U, ovviamente parlo del remake di Tales of Hearts R per Vita.
    Nella speranza di un ritorno del giappone sulle scene, aspettiamo con ansia Bravely Second.

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