Fa un po’ strano che il nuovo Doom The Dark Ages sia stato effettivamente un flop commerciale, ma i dati sembrano indicare proprio questo. La saga ha ridefinito gli sparatutto in soggettiva e ha segnato generazioni di videogiocatori. Dopo il fortunato reboot del 2016 e l’ottimo seguito Doom Eternal, era lecito aspettarsi un altro successo con Doom The Dark Ages. Eppure, le cose non sono andate come sperato. Nonostante un gameplay considerato solido e godibile, il gioco sembra aver registrato risultati di vendita deludenti, con numeri ben inferiori rispetto ai capitoli precedenti. Le cause? Una miscela complessa di fattori, che vanno dai modelli distributivi fino alla percezione del pubblico.
Doom The Dark Ages avrebbe dovuto essere un titolo di punta della stagione. Eppure, dei 3 milioni di utenti raggiunti nelle prime settimane, una parte risicata avrebbe effettivamente acquistato il gioco. La maggioranza lo ha provato tramite Xbox Game Pass, il servizio in abbonamento di Microsoft. Questo solleva una questione fondamentale: l’accesso illimitato tramite abbonamento rende ancora possibile giudicare il successo commerciale di un titolo con i parametri tradizionali?
Guardando i dati più “classici”, la situazione appare poco confortante. Su Steam, Doom The Dark Ages ha registrato un picco massimo di circa 30.000 giocatori contemporanei, un dato molto distante dai 105.000 raggiunti da Doom Eternal. Si tratta comunque di numeri parziali, visto che Doom Eternal non era disponibile su Game Pass al lancio, mentre Dark Ages sì. Inoltre, Eternal aveva un prezzo più accessibile ed aveva goduto di un di marketing sensibilmente più efficace. Ma anche tenendo conto di queste differenze, il distacco rimane troppo ampio per passare inosservato.

Il confronto con Hi-Fi Rush, un altro titolo rilasciato al day one su Game Pass, è ancora più spiazzante. Nonostante si trattasse di una nuova IP, non appartenente al genere FPS ma a quello – molto più di nicchia – dei rhythm game, Hi-Fi Rush ha raggiunto risultati migliori in termini di engagement e visibilità. Questo rafforza il sospetto che il flop di Doom The Dark Ages non sia legato solo alle mancate vendite per via di Xbox Game Pass, ma anche forse a un calo di interesse verso il brand stesso, magari dovuto a una presentazione poco efficace o ad un sistema di controllo meno accattivante rispetto ai predecessori.
Un altro punto critico è il prezzo: Doom The Dark Ages è stato messo in vendita a €80, contro i €60 di Doom Eternal. Una differenza che ha pesato sulle scelte dei giocatori, molti dei quali hanno preferito la strada dell’abbonamento piuttosto che sborsare una cifra simile per un acquisto diretto. In molti hanno dichiarato apertamente di averlo provato solo su Game Pass, proprio per evitare una spesa che sembrava ingiustificata. E anche tra chi ha apprezzato il gioco, pochi sembrano considerarlo all’altezza dei due predecessori.
Un altro segnale preoccupante viene dalle visualizzazioni su YouTube: il trailer di presentazione di Doom Eternal aveva raggiunto 8,1 milioni di views, contro le 2,1 milioni di The Dark Ages. Certo, le views non equivalgono a vendite, ma sono un buon indicatore del coinvolgimento e dell’interesse generato dalla campagna promozionale. Il crollo in questo ambito suggerisce un problema a monte: un reveal meno incisivo e una proposta meno intrigante per la community.
Sul fronte delle vendite, i numeri parlano chiaro: Doom Eternal aveva venduto 3 milioni di copie nella prima settimana, mentre Dark Ages ha “raggiunto” 3 milioni di giocatori in due settimane, includendo però gli utenti Game Pass. Se consideriamo solo le copie vendute, alcune stime parlano di circa un milione. A prezzo pieno, ciò significherebbe incassi diretti per circa 39 milioni di dollari. Ma si tratta solo di una parte del quadro. Anche includendo le stime più ottimistiche sui ricavi indiretti da Game Pass e le eventuali royalties, si parla di un totale stimato tra i 50 e gli 80 milioni di dollari, ben al di sotto del presunto break-even point fissato attorno ai 150 milioni.
Questi numeri sono ancora più impressionanti se si considera la natura del progetto. Doom The Dark Ages è un titolo tripla A, con un brand forte alle spalle e sviluppato da id Software, uno studio con una reputazione d’acciaio nel mondo degli FPS. Se un gioco con queste premesse non riesce a vendere in modo soddisfacente, qualcosa si è rotto nella catena tra produzione, distribuzione e consumo.
Mi permetterei inoltre di sollevare interrogativi sulla gestione dell’engine grafico. L’id Tech, il motore proprietario di id Software, è considerato da decenni una perla tecnica: anche questa versione, id Tech 8, consente al gioco di essere fluido, ben ottimizzato, visivamente solido. Eppure, da anni l’engine non viene più concesso in licenza ad altri studi. Una scelta che, col senno di poi, sembra limitare le potenzialità economiche dello studio. Mentre motori come Unreal Engine e Unity vengono adottati da una miriade di sviluppatori, anche grazie a modelli di business più flessibili, id Tech rimane confinato all’uso interno. Una scelta forse legata alla sua specializzazione sugli FPS, o forse a costi di licenza ritenuti troppo elevati. Ma il risultato è lo stesso: un investimento tecnico che resta in casa, senza produrre ricavi extra.
Insomma, Doom The Dark Ages si trova in una posizione scomoda. Da una parte, non è un brutto gioco. Anzi, molti lo definiscono valido, solido, adatto al Game Pass… ma non molto più di questo. Dall’altra, i numeri suggeriscono un titolo sottoperformante, che ha mancato gli obiettivi di vendita e non ha generato nemmeno il clamore mediatico che ci si aspetterebbe da un nuovo capitolo della serie Doom.
Il fallimento commerciale non è ancora ufficiale, e forse non lo sarà mai in modo netto, considerando la complessità del modello Game Pass. Ma i segnali sono chiari: qualcosa è andato storto. Che si tratti di prezzo sbagliato, comunicazione inefficace, scelte strategiche discutibili o semplicemente di un cambio nei gusti del pubblico, Doom The Dark Ages si candida suo malgrado a essere uno dei casi studio più interessanti (e tristi) del 2025.