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Femminismo e psicosi da Polygon contro i videogiocatori

Ci risiamo, ragazzi. Polygon continua a fare del proprio peggio per abbassare la qualità e la reputazione della stampa online americana. Si torna naturalmente a mischiare politica e videogiochi. O meglio, si torna a parlare di politica, visto che di videogiochi lì dentro è rimasto davvero poco. Attraverso la spigliata e imparzialissima penna di Colin Campbell, la redazione ci presenta un lungo articolo intitolato “La tossicità dei videogiocatori maschi, spiegata”. Questo pezzo, servendosi di opinioni di “esperti”, vuole illustrare il fenomeno degli uomini arrabbiati, troll, razzisti e misogini che militano nel mondo dei videogame. In pratica l’ennesimo articolo contro i cattivissimi giocatori appartenenti alla categoria di maschio bianco occidentale di destra, odiato dalle grandi menti progressiste di oggi.

Cosa c’è di nuovo in questo articolo? Beh, sostanzialmente nulla. Ve lo racconto in breve perché:
1- E’ troppo lungo;
2- Meglio risparmiarvi tempo e fatica;
3- Come al solito non ha un cazzo di senso logico.

Tranquilli, le considerazioni serie le tengo per ultime. Almeno per il momento mi riservo di procedere con il vecchio, caro sarcasmo.
Dunque, nella premessa Colin sottolinea di non voler parlare degli insulti subiti da donne e gente di colore sui social e sui giochi multiplayer. No, nel magnifico trattato si cerca di rispondere ad alcune domande esistenziali sui cosiddetti giocatori tossici. Da dove vengono? Perché stanno lì e cosa gli permette di rimanerci? Bisogna fare un’analisi approfondita per capirlo, sicuramente non dipende dal fatto di avere un account su Twitter dove poter esprimere le proprie idee.

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Nier Automata: un gioco pericolosissimo secondo gli “esperti” di Polygon

Ad illuminarci nell’approfondimento arrivano una serie di esperti, persone che di certo non fanno parte di gruppi di attivismo femminista schierati politicamente. No, in fondo che senso avrebbe riunire un gruppetto di gente con la stessa identica opinione prevenuta (e negativa) sui videogiocatori per tentare di aprire un dibattito serio? Dovremmo chiederlo a Polygon, ma in fondo va bene così. Ci siamo abituati. Sentiamo cos’hanno da dire questi intellettuali altolocati.

Kate Miltner, illustre laureanda in una facoltà di comunicazione della California meridionale (anvedi oh), ritiene che la prevalenza di uomini nell’industria videoludica sia da imputarsi al patriarcato. Gli insulti online hanno lo scopo di ricordare la superiorità del genere maschile su quello femminile. Coincidenze? Io non credo. Un abbraccio.

Anche Anita Sarkeesian, immensa conoscitrice della storia del gaming, partecipa alla discussione. D’altronde siamo pur sempre su Polygon. Anita, da buon titano intellettuale qual è, accusa l’industria di essersi rivolta principalmente a un pubblico maschile. Uhm, forse ha a che vedere con il marketing, vista la percentuale storicamente superiore di videogiocatori rispetto alle videogiocatrici. Secondo Anita, però, si tratta di sessismo. E come negarlo. Saremmo etichettati come bulli e bloccati su Twitter se solo glielo facessimo notare. Meglio di no.

Kishonna Gray, assistente professoressa al dipartimento di studi di Chicago su donne e generi, pensa che le donne siano state costantemente svalutate all’interno dei videogiochi. Sessualizzazione, rapimenti, stupri e quant’altro i principali problemi. Sì, è vero! Succede in Horizon, in Tomb Raider, in The Last of Us, in Hellblade e tanti altri giochi con donne protagoniste! Come dite, non succede se non in un gioco indie su un milione? Non osate contraddire l’assistente professoressa, che di titoli ne ha finiti sicuramente più di voi comuni mortali.

Lasciamo che la politica resti in Parlamento

Bridget Blodgett (kudos ai genitori), altra assistente professoressa, considera l’industria videoludica un posto per ragazzi, creato da ragazzi. Secondo lei i publisher puntano eccessivamente su un audience di maschi adolescenti bianchi tralasciando le minoranze. Poco importa se esiste qualcosa chiamato pubblico target e meritocrazia sul lavoro, con i principali game designer e sviluppatori di fama mondiale appartenenti al genere maschile. È solo un caso, ovviamente. Anzi no, è di sicuro un complotto maschilista e mi vergogno di non averlo notato subito. Shame! Ding ding ding.

La quinta opinione illustre viene nientepopodimeno che da uno youtuber, Thom Avella. Thom ci racconta di come si sia sentito oltraggiato da chi ha criticato la Sarkeesian e il suo chiaro indirizzo politico per nulla compatibile con il tema videogiochi. I giocatori hanno paura del cambiamento! Temono di essere marginalizzati quando un titolo cerca di riflettere le esperienze di gruppi specifici e minoranze! Tipo quando definiscono irrealistica e priva di fondamento storico la protagonista di Assassin’s Creed Odyssey, una guerriera spartana di prim’ordine capace di parlare con gli uomini da pari a pari nel 400 a.C., dove le espressioni parità di genere, diritti delle donne e femminismo non esistevano neanche. Sembra logico.

Carolyn Petit, prominente redattrice transessuale per il sito di – indovinate chi – Anita Sarkeesian, se la prende con la biologia. Gli uomini non dovrebbero avere esplicite preferenze sessuali verso donne, reali o virtuali, da loro ritenute soltanto sexy. Bisognerebbe piuttosto guardare oltre e ricercare l’interiorità che secondo lei manca del tutto nella cultura del giocatore medio. Di conseguenza i giochi, per dare il giusto esempio, dovrebbero tagliare i personaggi come Bayonetta, 2B e compagnia. Bella idea, comunichiamola subito anche a tutte le aziende pubblicitarie e a Hollywood per vedere in che modo la prendono.

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Gli esperti di Polygon ritiene che i videogame sottolineano la superiorità dell’uomo sulla donna…

Soraya Chemaly, mi sfugge la professione, codifica il sistema occidentale come razzista e sessista. I movimenti contro il sistema patriarcale avrebbero contribuito a destabilizzarci, minacciando l’identità di noi cattivissimi maschi bianchi. Da qui le reazioni violente su internet, tossiche addirittura, da parte dei giocatori che vengono visti come un gruppo sociale.
Un secondo. Identità, giocatori, gruppo sociale? E io che pensavo che i videogiochi fossero solo un hobby. A quanto pare oggi facciamo tutti parte di una casta, tipo politici e banchieri. Buono a sapersi. Gombloddo.

Soraya-chan continua chiedendosi perché i giocatori siano tanto arrabbiati. Si auto-risponde dicendo che è colpa della presenza crescente di donne e neri nelle opere di intrattenimento e nel “giornalismo” settoriale. Questo minaccerebbe le gerarchie e ancora una volta metterebbe in discussione la nostra identità. Davvero? Quindi non siamo arrabbiati per il milione di articoli anti-gamer scritti da Polygon, Rock Paper Shotgun, Kotaku, IGN e simili al solo e unico scopo di fomentare polemiche generando clickbait? No, semplicemente ci sentiamo minacciati e ce la prendiamo con la streamer tettona di turno (la quale non usa il suo corpo per raggiungere il successo, giammai).

I nostri esperti parlano anche di piattaforme online e della loro presunta collusione. Le aziende ignorano e anzi speculano sulla tossicità, sentenzia l’intoccabile Zoe Quinn. Punta il dito contro YouTube poiché permetterebbe ai detrattori di dar voce alle proprie opinioni, qualunque esse siano. La Sarkeesian suggerisce poi velatamente a Google di censurare in modo democratico chiunque non la pensi come lei ma credo non ce ne sia bisogno, lo fa già da tempo.

Secondo Polygon c’è troppa libertà di espressione, i pareri e le opinioni dovrebbero venire controllati

L’articolo, comunque, si chiude con altre vaccate sulla destra estrema, sulla discriminazione e con interrogativi retorici a cui solo la scomparsa dei social network e della libertà di parola potrebbe porre rimedio. Anzi, diciamo anche che neanche quello avrebbe senso, perché la tossicità online è solo una diretta conseguenza di maleducazione e cattiveria umana che internet si limita a veicolare in modo neutrale. Insomma, si continua a combattere con i mulini a vento.

Non nego che, dopo aver letto quel pippone, avevo gli occhi inondati di lacrime. Non ridevo così da anni, lo giuro, e la comicità dell’articolo è purtroppo direttamente proporzionale alla seria convinzione da parte di chi lo ha scritto e vi ha contribuito. Uno potrà pensare, anche giustamente: “e vabbè, che ti frega di Polygon. Lasciali parlare”. Mi piacerebbe, credetemi. Eppure non riesco, sia per la crescita di questo fenomeno idiota del nuovo femminismo e del politicamente corretto nell’industria dell’intrattenimento, sia per ragioni di etica professionale.

Vedete, io e la mia redazione non accetteremo mai posizioni simili a quella dei pagliacci di Polygon & co. Noi stiamo dalla parte dei videogiocatori, a prescindere dal sesso e dalle differenze culturali. Scrivere un articolo apparentemente analitico e riversarci dentro opinioni parzialissime di pseudo intellettuali tutti concordi nell’odiare qualcuno senza motivo è a dir poco vergognoso. Non si sono neanche curati di inserire uno spazio minuscolo di contraddittorio, così recita la loro filosofia democratica solo a parole. E il guaio è che come loro anche i seguaci si comportano allo stesso modo. Hai un parere diverso o mi dai fastidio? Ti bollo come bullo sessista e chiedo la tua censura. Niente discussioni civili, solo odio categorico, qualunquismo e preconcetti sbagliati. Noi contro di loro. Eterosessuali contro omosessuali e trans. Uomini contro donne. Si divide anziché unire.

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Lo straordinario Hellblade, forse un altro esempio di maschilismo?

Tutto proviene da questa campagna politica portata avanti dopo il Gamergate che non accenna a finire, e anzi promette di proseguire ancora per molto. Qualunque cosa succeda la colpa è sempre dei giocatori, non di certo dei “giornalisti” politicizzati e corrotti che da anni continuano a provocarli. Stranamente, poi, si parla di molestie virtuali nei confronti delle minoranze ma mai del contrario. E i casi ci sono eccome, ad esempio gli ex impiegati di Bioware e Guild Wars 2 con le loro risposte tossiche/razziste verso la community e le celebrazioni alla notizia della morte del povero Totalbiscuit. Di questo non si parla, non sono cose importanti. Gli unici ad avere il diritto di recitare la parte delle vittime sono loro, quelli che con la vera arte dei videogiochi non c’entrano nulla, quelli che cercano di plasmarli secondo la propria ipocrita ideologia politica.

Nell’era in cui ci si offende per qualsiasi cosa è più facile scagliarsi contro i videogiochi violenti e sessisti anziché occuparsi dei veri problemi. Non sia mai che questi eroici attivisti combattano contro cose reali, come le discriminazioni e i soprusi che avvengono in Nord Africa e medio oriente. Molto meglio riempire di insulti il Kamiya di turno e cercare di insegnargli il game design. Paladini della giustizia, social justice warriors, buoni solo a sollevare polemiche sterili, di cui a nessuno frega nulla. Roba da far impallidire persino il preside PC di South Park.

Infilare la politica perfino negli hobby è da psicopatici

Siamo alla frutta e io sono stanco. La stragrande maggioranza delle cose che dovrebbero addolcire la vita, tra cui film, serie TV, sport e videogiochi stanno venendo contaminate dalla politica. Quando impareranno che alle persone comuni non frega niente di sessismo e seghe mentali sull’esistenza di 5 generi sessuali extra? Alla gente interessa che un prodotto sia valido, stop. Solo i ritardati mentali scelgono di boicottare un’azienda per una pubblicità fraintesa o perché in un gioco sulla seconda guerra mondiale non puoi interpretare una donna. La smettano di cedere alle pressioni di certi individui in malafede e lascino tutto nelle mani degli sviluppatori come accadeva un tempo. La politica rimanga in parlamento.

Purtroppo ora come ora le paure superano le speranze. Non per me stesso ma per il futuro dell’industria. Più lasciamo che certa gentaglia prosperi e non si confronti con opinioni serie, più rischiamo di veder scomparire la creatività dai nostri contenuti multimediali preferiti. Le storie audaci, intriganti e ricche di mordente, o anche semplicemente gli elementi crudi, brutali, di richiamo sessuale e non adatti ai deboli di cuore potrebbero presto scomparire. Con sviluppatori e publisher senza palle piegati al volere del gruppo Sarkeesian, piaga del medium, i videogame saranno conditi di finto buonismo, banalità, milioni di censure e politicamente corretto. Non siamo neanche molto lontani. Basta dare un’occhiata alle ultime uscite AAA per rendersene conto.

La domanda finale è: vogliamo più The Witcher 3 oppure più Mass Effect Andromeda? Io, nel mio piccolo, preferisco il cioccolato alla merda. Non so voi.

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