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Il Cerchio della Morte di Gamestop

Come avrete letto nei giorni scorsi, Gamestop si trova ancora una volta nell’occhio del ciclone. Dei recenti articoli di Kotaku hanno infatti portato alla luce un’ondata di malcontento da parte degli impiegati della nota catena retail americana, che a quanto sembra vedrebbero sempre più a rischio il proprio posto di lavoro. La colpa viene attribuita al “Cerchio della Vita” (Circle of Life), la nota politica aziendale incentrata sulla sequenzialità di acquisto e trade-in da parte dei clienti. Le modifiche aggressive apportatevi negli ultimi mesi del 2016 avrebbero impattato negativamente sul morale dei dipendenti, costretti addirittura a mentire al consumatore pur di non violare il programma imposto dai vertici della compagnia. Ma come funziona tutto ciò nello specifico e cosa ne deriva? Cerchiamo di fare chiarezza.

Il Cerchio della Vita ha sempre, in un modo o nell’altro, fatto parte di Gamestop. La sua applicazione interna è piuttosto semplice. Ad ogni punto vendita vengono assegnate diverse quote da raggiungere in relazione ai ricavi mensili totali. Esse corrispondono generalmente a: preordini, iscrizioni al programma Gamestop+, garanzia hardware/software, scambi e vendita dell’usato. Gli impiegati ricevono poi un punteggio personale in base alla percentuale delle suddette quote sul ricavato mensile complessivo. Fin qui niente di astruso. Le problematiche sono iniziate a sorgere quando le quote minime per punto vendita hanno visto un cospicuo rialzo (in media dal 10 al 30%) e i commessi con rendimenti CDV inferiori al 50% subito rimproveri, punizioni e addirittura licenziamenti in tronco.

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Questo li ha inevitabilmente messi nella difficile situazione di scegliere tra posto di lavoro e onestà professionale. Da un lato la trasparenza nei confronti dell’utente, dall’altra l’obbligo contrattuale sulle quote unito alla paura di ripercussioni. Checché se ne dica, nella stragrande maggioranza dei casi vince la seconda filosofia. Non è un caso se una volta su due il commesso di turno ci dica di aver esaurito le copie nuove del titolo o della console desiderati proponendoci invece di ripiegare sull’usato a prezzi spesso superiori. Purtroppo la logica di Gamestop non fa una piega. Perché vendere il nuovo quando il margine di guadagno sui prodotti di seconda mano è ampiamente superiore?
Chiedetevelo anche voi ogniqualvolta accettate le loro (s)valutazioni. Una pila di titoli in cambio dell’ultima uscita, più l’extra della garanzia. Giochi valutati 2-3€ che vengono venduti in seguito alla modica cifra di 34,98€. Stesso discorso per le console, salvo rari casi in cui offrono la supervalutazione. E vogliamo parlare dei prezzi ridicolmente alti rispetto alla concorrenza? Il risparmio netto acquistando online e in digitale sarebbe già da solo un motivo valido per accantonarli.
Non bisogna inoltre dimenticare le pratiche scorrette attuate ai danni dei clienti più sprovveduti come le mamme e i minorenni. Entrando in negozio, simili categorie vengono bombardate di domande pressanti e promesse fumose che talora accettano senza comprendere. Abbiamo visto con i nostri occhi impiegati mentire spudoratamente pur di accaparrarsi un preordine in più, rinnovare carte con ancora 5 mesi di validità e gabbare i malcapitati in modo da mantenere alte le quote imposte dal datore di lavoro.
Non sembra neanche di descrivere negozi di videogiochi ma banchi dei pegni.

Detto con sincerità, Gamestop meriterebbe brutalità maschia per via anale. E lo diciamo nonostante l’amicizia con alcuni impiegati ed ex-impiegati da cui non abbiamo mai sentito parole dolci nei confronti del retailer americano. Per l’occasione ne abbiamo interpellati un paio (non si faranno nomi) e i loro commenti ci hanno spinto a riflettere. Chi continua a lavorare nella catena parla di ansia da prestazione a fronte del perenne rischio di licenziamento sempre dietro l’angolo, di odio crescente verso il proprio lavoro e di incentivi in pratica assenti, con uno stipendio da 700 euro al mese per 6 giorni di lavoro a settimana e turni da 6 ore al giorno. Chi ha lasciato il posto o è stato licenziato ammette esplicitamente, seppur a malincuore, di aver mentito più volte ai clienti e visto colleghi fare altrettanto spinti dalle assurde richieste dei manager. Certi aneddoti, credeteci, hanno del paradossale. Prodotti usati spacciati per nuovi e falsificazioni delle ricevute non sono neanche tra i peggiori. Tutti, comunque, si focalizzano sulle condizioni di continuo stress in sede lavorativa a fronte di una paga incredibilmente misera. Alla domanda “consiglieresti a un amico di lavorare in Gamestop?” il “no” unanime non ci ha affatto stupiti. Lungi da noi il voler fare di tutta l’erba un fascio, eppure il problema persiste, negli USA così come in Italia.

Gamestop

Ad ogni modo, Gamestop o meno, il mondo del retail non è proprio un bel mondo. Racconti ed esperienze personali non fanno altro che confermare quanto subdole possano essere le strategie speculative ai danni del consumatore. Gli stessi dipendenti sono vittime di un sistema concepito in maniera tale da distruggerli sia fisicamente sia moralmente. Nel mondo del mercato neoliberista qualsiasi elemento luccicante nasconde un lato oscurissimo e losco, bisogna sempre ricordarlo. Per quanto prendersela con Gamestop possa essere utile, la verità è che siamo circondati da aziende con comportamenti di gran lunga peggiori. Perché? Perché continuiamo a cadere imperterriti nelle loro trappole. Li odiamo, li contestiamo, ci lamentiamo sul web. Peccato però che non facciamo mai valere a fondo le nostre posizioni per principio e cediamo alle seduzioni del marketing ingannevole. Finanche il più truffaldino dei colossi finanziari abbassa la cresta se lo si minaccia con il portafogli. E non ci stancheremo facilmente di ripeterlo.

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