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[Recensione] Call of Duty: Black Ops III – Back in Black

Data di Uscita 5 Novembre 2015 Lingua Italiano
Piattaforme PC, PS4, One, PS3, 360 Versione recensita PC

Chi, tra i videogiocatori, si nutre di pane e Call of Duty non potrà ormai fare a meno di constatare come il nome Treyarch, negli anni, sia diventato sinonimo di quantità e qualità dei contenuti.
Ad ogni iterazione della saga curata dagli sviluppatori di Santa Monica, specialmente a partire dal debutto della serie Black Ops, seguono infatti quasi sempre reazioni positive da parte dell’utenza e, nondimeno, dalla critica specializzata.
Quest’anno sugli scaffali giunge Black Ops III, titolo ricco di potenzialità constatate già dal periodo di open beta, che si propone di racchiudere dentro di sé tutto ciò che i fan dello shooter arcade made in Activision hanno imparato ad apprezzare e ad aspettarsi lungo un cammino durato finora ben sette anni.
Vediamo dunque di analizzare pezzo per pezzo l’ultima fatica del team californiano, partendo come di consueto dalla campagna single player.

Call of Duty: Black Ops III

Non direttamente connessa agli eventi narrati nei capitoli precedenti ma situata comunque nella stessa timeline, la storia di Black Ops III si apre dando forma ad uno scenario sci-fi dai connotati piuttosto oscuri.
Il leitmotiv, stavolta, ricalca le conseguenze di un futuro probabilmente anche realistico in cui impervia uno stato di crisi mondiale, di guerra fredda, contornato dai sempreverdi conflitti per il potere combattuti in prima linea da una nuova tipologia di soldato.
Adesso le forze armate sono dotate di chip sottocutanei denominati DNI, in grado di migliorare la loro coordinazione ed affinarne le doti belliche, ma soprattutto da armamenti progressivamente più devastanti che comprendono tute capaci di sfidare la gravità e bocche da fuoco avanzatissime.

Noi interpretiamo un militare anonimo, uomo o donna secondo le nostre preferenze, parte del team WA capitanato da Jackob Hendricks ed incaricato di recuperare il dr. Salim al Cairo, interrogandolo su dei presunti esperimenti illegali finiti tragicamente con la morte di circa 300.000 individui.
Inizialmente al giocatore viene assegnato il compito di semplice mano armata dell’unità, adibita soltanto all’obbedienza verso gli ordini della base e a una serie di missioni dal basso ritmo che potrebbero farne scemare il coinvolgimento, ma appena prima della totale sopita un evento cruciale cambierà le carte in tavola e la chiave di lettura dell’intera trama.
Se nelle fasi iniziali la struttura narrativa un po’ blanda confluiva in obiettivi dalla generica linearità assimilabili all’impronta data da Infinity Ward alle campagne dei suoi Call of Duty, la seconda metà del gioco assume un piglio totalmente diverso, infarcito di circostanze e scenari dal forte impatto, che si mantiene alto fino alla fine, non senza colpi di scena da mindfuck che ad ogni modo non la elevano al di sopra dei vecchi Black Ops.
Il tallone d’Achille del racconto risiede nella dilatazione a tratti forzata, seguita da sezioni talvolta tediose e frustranti in cui è davvero facile essere oneshottati da una granata non segnalata o da un nemico piombato alle nostre spalle approfittando del caos generale (parliamo del livello di difficoltà hardened, di un gradino superiore al già impegnativo normal).
Anche la gestione dei veicoli non brilla di certo e le poche volte che ci ritroveremo all’interno di un VTOL o di un fuoristrada da guerra avvertiremo la sgradevole sensazione del già visto, del troppo scriptato e dell’estremamente semplicistico.

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Il gameplay a piedi, d’altro canto, presenta alcune novità degne di nota.
Le meccaniche introdotte grazie all’implementazione dell’interfaccia DNI strizzano l’occhio alla varietà d’azione poiché permettono approcci silenziosi e subdoli, come nel caso dell’hacking di droni e torrette nemiche, di rilevatori basati sullo scanning oculare e di boost temporanei in agilità, davvero utili nel caso ci si trovi di fronte mandrie di robot inferociti; soltanto opzionale quanto limitata, invece, la navigazione facilitata dagli innesti artificiali rappresentata da boost e wallrun, elementi che avrebbero potuto regalare un minimo in più di libertà nei livelli dall’ampio respiro.
Ancora primitiva e poco responsiva l’intelligenza artificiale, giustificata in parte dalla costituzione robotica della stragrande maggioranza dei nemici ma non sufficiente a costituire un serio pericolo per il player, il quale dovrà solo evitare di piazzarsi incautamente in mezzo al campo di battaglia rispedendo le granate al mittente, oppure dirigersi in sprint verso il marker ignorando bellamente tutto e tutti.
Nel caso si volessero provare i gradi di difficoltà veterano e realistico, cattivi sul serio, consigliamo di giocare la campagna insieme ad altri tre amici, online o in locale, usufruendo del comodo hub in cui, tra una missione e l’altra, sarà possibile organizzare il proprio loadout personalizzando a fondo estetica ed arsenale del soldato scelto tramite punti sblocco ottenuti dal livellamento.
Gli sviluppatori hanno inoltre inserito in questo hub due mini-modalità, ovvero Dead Ops e Free Run.
La prima, che ha debuttato nel primo Black Ops, è essenzialmente una mappa Zombie in prospettiva twin stick shooter dove l’obiettivo principale resta quello di sopravvivere ad ondate crescenti di non morti ma, a differenza della modalità madre, qui le munizioni sono infinite e i nemici oneshottano.
In Free Run, invece, si potranno testare le proprie abilità di scatto e parkour completando gare a tempo su percorsi virtuali al fine di sbloccare dei collezionabili o raggiungere il top nelle leaderboards, il tutto sia in solo che in multiplayer.
Presente addirittura una campagna alternativa (sbloccata dopo la fine del gioco) facente uso dei medesimi livelli dell’originale ma con l’aggiunta degli zombie, di power up casuali e di un altro protagonista che fornirà il suo punto di vista sugli eventi narrandoli passo passo in forma di memorie, trovata davvero ben congegnata che fornirà ulteriore longevità -otto ore circa- ad un comparto single player della durata media di dieci ore.

call of duty black ops III

Immancabile la modalità Zombie, fiore all’occhiello delle produzioni Treyarch, che quest’anno beneficia di sostanziali ritocchi di cui è doveroso parlare nello specifico.
Innanzitutto il cast d’eccezione, composto da attori del calibro di Jeff Goldblum, Heather Graham, Neal McDonough e Ron Perlman, ognuno associato a un personaggio ben caratterizzato per far risaltare con estrema brillantezza l’ambientazione lovecraftiana, che per certi versi ricorda la Rapture di Bioshock.
La mappa Shadows of Evil, tristemente l’unica presente nella versione base di Black Ops III, si estende con generosità sia in orizzontale che in verticale e contiene un numero incredibile di aree segrete accessibili solo nei panni della bestia.
Infatti, interagendo con le fiaccole disseminate in giro, al giocatore verrà permesso di trasformarsi in un orrendo mostro simile a Cthulhu munito di rampino per scalare i palazzi e del potere di elettrizzare nemici e meccanismi bloccati, novità di sicuro graditissima dai fan hardcore di Zombie; inoltre, previo pagamento di 500$ presso i distributori di caramelle, si otterranno cicche colorate in grado di fornire perk temporanei da testare singolarmente o addirittura da combinare fra loro per ricavare effetti sorprendenti.
Insomma, si tratta di un livello ben strutturato cosparso di item e power up utilissimi alla sopravvivenza, tra cui i classici drop casuali a seguito di uccisioni e i forzieri slot machine da usare con cautela, vista l’importanza della gestione dei soldi, impiegabili come sempre per serrare porte ed acquistare letali trappole da piazzare con sapienza.
La customizzazione tipica del multigiocatore, oltre che alla campagna, è stata portata anche qui attraverso un comodo menù con il quale settare loadout e upgrade individuali prima di ogni partita, sbloccando poi ulteriori potenziamenti e skin grazie al sistema di livelli introdotto appositamente.
Il gameplay di base, eppure, è rimasto pressoché invariato, forte di meccanismi duri a morire che catturano player di qualsiasi età spingendoli a migliorarsi con costanza al fine di sopravvivere per il maggior numero di round, in un crescendo di ondate sempre più intense stavolta non composte esclusivamente da zombie ma da creature tratte dall’immaginario fantasy noir e di effetti talora esilaranti provocati dalle tante, fiammanti, armi speciali.
Da segnalare infine, oltre all’ottimo sonoro, la quantità smodata di Easter Egg presenti nella mappa (così come in ogni altro meandro del titolo), gradevole fanservice da un lato e veri cheat dall’altro, ad esempio nel caso dell’ombra misteriosa che se colpita permette di skippare interi round guadagnano punti a iosa.

Sul versante multiplayer si segnalano, al solito, passi avanti ed incertezze.
Il pacchetto modalità è incredibilmente ricco e annovera entry imprescindibili quali Deathmatch, Dominio, Hardpoint, Uccisione confermata, Cattura la bandiera e tante altre, a cui vanno ad aggiungersi Uplink e Safeguard (rivisitazione di Payload) nonché divertenti bonus come il Gun Game in stile Counter-Strike; ai pro gamer Treyarch dedica poi una cospicua sezione ranked rinominata Arena, in cui si lotta per scalare i venti ranghi fino alla Master Division, regno indiscusso dei maestri di CoD.
Tutta l’opera si impernia prepotentemente sul feeling di inaudita potenza conferito all’utente, non fa differenza se veterano o inesperto.

call of duty black ops III

L’introduzione degli specialist, di fatto, procede al pari con i bonus killstreak gettando nella mischia armi e abilità fin troppo potenti, limitandone però l’utilizzo tramite tempi di ricarica, che possono essere ridotti dalle uccisioni in modo da non offrire eccessivi margini di vantaggio ai primi della lista.
Gli specialist -in totale nove- possiedono due caratteristiche ben distinte sbloccabili con i punti del level up, principalmente un’arma pesante e un tratto da selezionare con attenzione prima di fiondarsi in partita.
Abbiamo dunque lanciagranate a detonazione ritardata, lanciafiamme, fucili ad impulsi, archi dalle frecce esplosive e pugnali in grado di scuotere il terreno alternati a notevoli boost, teletrasporti, sistemi di rilevamento, scudi energetici e quant’altro possa conferire varietà al competitivo.
Bisogna tuttavia tener conto dello sbilanciamento di qualche abilità, specialmente di Prophet e Outrider che, allo stesso modo di altri colleghi muniti di armi dall’alto range possono oneshottare senza pietà da qualsiasi punto della mappa, causando situazioni alquanto frustranti per le vittime; persino il close quarter vede regnare indiscussi due specialisti, Firebreak e Spectre, capaci da soli di scompaginare le fila nemiche con una semplicità disarmante.
Non che sia l’unico esempio di design ingiustamente punitivo inflitto a prescindere dalla skill del malcapitato, giacché anche in questo Call of Duty basta davvero pochissimo per essere fraggati.
La salute dei soldati si mantiene in linea con gli standard della serie, ovvero fin troppo risicata, fattore che determina la brevità cronica del time to kill e vanifica qualunque tentativo di rispondere al fuoco nemico una volta ingaggiato uno scontro, oltre che tatticismi e pianificazioni.
Si corre, si salta, si scivola e si spara. Il tutto senza mai fermarsi.
Ci si muove meno velocemente rispetto ad Advanced Warfare, dato che il boost regalato dal jetpack in Black Ops III copre distanze minori e si ricarica nel tempo ma offre altresì più manovrabilità, mentre wallrun, powerslide e il nuovo combattimento subacqueo ricalcano la scia dell’opera targata Infinity Ward, tenendo costantemente alto il ritmo di gioco.
Buona la gestione di classi ed equipaggiamenti, fortificata dalla possibilità di modificare la propria arma con ben sei accessori e rivoluzionarne il look attraverso il sottomenù Gunsmith, non lasciando da parte né gli ormai celebri perk né tantomeno l’aspetto del nostro alter ego.
Altrettanto soddisfacente il feeling delle bocche da fuoco, caratterizzate ottimamente dal punto di vista estetico a cui però non corrisponde una risposta -di suono e rinculo- adeguata; gli sbilanciamenti, purtroppo, continuano anche in questo campo, dal momento che abbiamo notato un’eccessiva efficacia di Razorback, Gorgon e Man ‘o’ War rispetto al resto degli strumenti di morte, lasciati ormai in secondo piano dalla maggioranza dei player esperti.
Concludiamo con le mappe, dal design piacevole, estensione discreta e fluide da navigare ma costruite senza tenere in considerazione buona parte delle capacità di navigazione apportate dal jetpack: vi troverete spesso a cercare di superare determinati ostacoli ambientali come edifici e colline usando il boost per piombare addosso agli avversari ma i muri invisibili vi bloccheranno inesorabilmente la strada.
Si tratta di un grave errore di level design scaturito forse dalla volontà di definire percorsi lineari memorizzabili da tutti, visto che al giocatore viene implicitamente suggerito con puntualità dove appostarsi, arrampicarsi e saltare riducendo in tal modo il raggio d’azione durante gli assalti.

Niente di rivoluzionario sotto il sole di Activision neppure in ambito tecnico.
Il comparto grafico di Black Ops III si allinea a quanto osservato l’anno scorso e, pur vantando un framerate granitico (60fps @1080p) sulle console di current gen, mostra il fianco a causa dell’arretratezza di un motore che continua a portarsi dietro texture, animazioni, illuminazione e fisica a dir poco datati, sebbene stavolta si sia deciso di venire incontro per lo meno un minimo alle esigenze degli utenti PC.
Sono stati introdotti uno slider per il FOV fino a 120, un contatore/limitatore di frame al secondo, una barra tramite cui selezionare il render della risoluzione, server dedicati, supporto allo split-screen multischermo e gli strumenti di modding attesi a inizio 2016.
Di contro una miriade di utenti (noi compresi) hanno riscontrato criticità inaspettate persino su sistemi di fascia alta.
Tralasciando l’input lag, comunque fixabile modificando il file .ini, abbiamo riscontrato pesanti cali di frame rate e un ripetuto stuttering, probabilmente dovuti ai consumi eccessivi di VRAM, del tutto saturata in game su GTX 970 da 4GB, nonché da problemi relativi ai thread dei processori i5, rattoppati con update tempestivi ma non risolutivi a 360 gradi.
Noi siamo riusciti ad arginare tali beghe tecniche abbassando il livello di dettaglio di texture e shadow mapping da extra ad alto, non senza mettere mano ai file di gioco, ottenendo un framerate fisso a 60fps in Full HD con V-sync attivo ma le soluzioni, finora solo amatoriali, sembrano funzionare un po’ a macchia di leopardo.
Che dire, ci saremmo aspettati un’ottimizzazione migliore ma recentemente i porting PC davvero degni si contano sulle dita di una mano; speriamo che gli sviluppatori provvedano a riparare con celerità almeno le falle più evidenti.

In sintesi
Call of Duty: Black Ops III è, allo stesso tempo, il capitolo più atipico e paradigmatico di una saga in preda ad alti e bassi da ormai qualche anno.
Treyarch ha voluto riempire il proprio lavoro di contenuti qualitativamente sorprendenti che potrebbero tenervi impegnati molto a lungo: in primis la modalità zombie con la sua intramontabile verve e le montagne di novità apportatele, poi le due campagne, il multiplayer ricchissimo e infine le chicche minori come Free Run o Dead Ops.
Tuttavia permane la sensazione di trovarsi di fronte ai difetti congeniti della serie, mascherati talora a regola d’arte ma ad ogni modo affioranti, ad esempio gli sbilanciamenti del multigiocatore, gli screzi tecnici, i singhiozzi nel level design e nondimeno l’imperterrita scarsità del time to kill, difetto accentuatosi progressivamente negli anni.
Se non amate la formula dei Call of Duty non sarà Black Ops III a farvi cambiare idea, se invece fate parte della schiera di appassionati del fortunato brand Activision vi assicuriamo che lasciarlo sullo scaffale sarebbe un vero e proprio delitto.
Valutazione scala 1/10

8.3
+ Valanghe di contenuti
+ Zombie al top
+ Migliorie al gameplay
+ Opzioni PC friendly come split-screen multischermo e FOV regolabile
– Problemi storici della serie
– Ottimizzazione superficiale
– Alcuni sbilanciamenti e difetti di level design

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