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Steam verso un baratro dominato dal caos?

Farsi un giro su Steam alla ricerca di titoli indie interessanti è diventato ormai un incubo.
Migliaia e migliaia di videogame scadenti, incompleti, ingiocabili vengono venduti giornalmente, spesso a prezzi esagerati, sulla piattaforma più utilizzata dagli utenti PC nella totale anarchia da sviluppatori furbi, pigri o semplicemente incompetenti che sfruttano con successo le evidenti falle dello store digitale di Valve.
Da chiarire che non parliamo soltanto di Early Access o Greenlight ma anche di giochi pubblicizzati come prodotti finiti salvo poi rivelarsi progetti dal livello imbarazzante e sub-amatoriale spiattellati con noncuranza in homepage accanto, se non addirittura rubando spazio, a lavori meritevoli.
Può Valve permettere che ciò accada?

Evidentemente sì, viste le entrate cospicue provenienti dalle tasche degli sviluppatori per la sottoscrizione a Steam (100$ a gioco).
Greenlight è un sistema fallato, lo abbiamo già detto in altre occasioni, eppure non vogliamo usarlo come capro espiatorio.
Il nocciolo del problema risiede nell’assenza di controllo da parte di Valve, convinta di potersi completamente affidare all’utenza.
Per evitare di scendere in campo e sporcarsi le mani istituendo un dovuto controllo qualità, i vertici del colosso di Bellevue le hanno provate tutte: prima le votazioni, poi i rimborsi, in seguito le modifiche alle recensioni utente, in generale tanti piccoli rattoppi ad un sistema comunque scricchiolante, come si suol dire ‘cure per i sintomi ma non per la malattia’.

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Ecco che ogni giorno vengono rilasciati oltre 20 titoli su Steam, di cui almeno la metà si rivela spazzatura.
Andiamo dalle raccolte di modelli Unity gratuiti sparpagliati a caso in mappe sandbox ai più famosi Simulator, nauseanti e abusati.
Non a caso diversi critici, tra cui Jim Sterling, dedicano centinaia di articoli/video a deridere lo Slaughtering Grounds o il Garry’s Incident di turno ponendo l’accento sull’assurdità dei metodi odierni di pubblicazione su Steam, invaso dai cosiddetti “shovelware” che servono soltanto ad affossare il prestigio dello store.
Chiunque, di recente, può pubblicarvi un gioco, per quanto pessimo sia, e venderlo al prezzo desiderato in assoluta libertà.
Se la cuccagna delle percentuali ai publisher per ogni sviluppatore sotto contratto finisse e se si decidesse di alzare la quota d’ingresso a Greenlight, con molte probabilità il fenomeno si ridurrebbe in modo drastico.
Ancor più efficace sarebbe l’intervento diretto di Valve nella selezione dei titoli da pubblicare ma questa è da considerarsi un’utopia.

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Al momento le statistiche parlano chiaro: l’offerta eccede di gran lunga la richiesta.
Non si sente il bisogno di acquistare un survival e un platform 2D al giorno, men che meno quelli malriusciti.
Per quanto avere un catalogo sconfinato sia allettante, Valve dovrebbe ricordarsi che ne va della sua reputazione in quanto distributore.
Troppi studi indipendenti (e non) riescono a piazzare prodotti di infima qualità sulla piattaforma videoludica più popolata al mondo ed è preoccupante osservare come certe pratiche fraudolente vengano spesso ignorate dallo staff di Steam, che prende posizione solo quando gli scandali e gli exploit raggiungono una diffusione virale su siti e forum esterni.
Il controllo qualità, nel mercato digitale odierno, non è un semplice optional.
Basti osservare le differenze tra App Store e Google Play, quest’ultimo molto più simile a Steam in quanto a filosofia.
Urge un repentino cambio di rotta, una manovra decisiva e autoritaria da parte di Valve, finora quasi fuori dalla realtà.
Riprendere possesso del proprio store o abbandonarlo all’anarchia della mediocrità: queste le uniche opzioni possibili per l’azienda americana.

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