Ricordate quando vi dicevo che videogiocare sarebbe presto diventato un hobby per ricchi? Mi sa che ci stiamo arrivando ancora prima del previsto. Il 2025 è iniziato molto male, con gli 80€ normalizzati ovunque anche nelle versioni digitali su PC e le console che assumono sempre di più i connotati delle schede video, nonostante la penuria di killer application.
La notizia fresca è che PlayStation 5 Digital Edition ha subito un aumento di prezzo significativo in Europa, Australia e Nuova Zelanda, passando da 449,99 a 499,99€, lo stesso prezzo della versione con lettore disco al lancio. Sony giustifica questo aumento con l’inflazione e le fluttuazioni dei tassi di cambio, ovvero la stessa scusa usata nel 2022 quando da 399 si passò a 449. E, come sempre quando si tratta di aumentare i prezzi, le motivazioni sono in larga parte pretestuose.
Sony sa perfettamente dove può permettersi di spremere di più i propri utenti. L’assenza di aumento negli USA, per ben due volte di fila, è estremamente indicativa: è il mercato principale per PlayStation, altamente competitivo con Xbox e Switch. Un rincaro lì sarebbe un autogol. In Europa, invece, la concorrenza è molto più debole: PS5 domina il mercato, quindi Sony può permettersi di alzare i prezzi senza temere gravi conseguenze. È una mossa opportunistica, non necessaria. Anche perché se davvero i costi fossero aumentati in modo generalizzato, ci sarebbe un aumento globale. Di certo gli USA non ne rimarrebbero fuori, specialmente alla luce dei nuovi dazi del Briscola (a cui auguro un coccolone nottetempo).
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Ricordiamoci inoltre che la PS5 è uscita nel 2020: a 5 anni di distanza, i costi iniziali di R&D sono stati ammortizzati, e le linee di produzione sono ormai rodate. Persino il processo produttivo dei chip è passato da 7 a 6nm. Le revisioni come Slim sono più efficienti da produrre, non più costose. Un aumento in questa fase non è giustificabile con “eh sono improvvisamente aumentati i costi di produzione”. E anzi sembrano ancor più sospetti dopo il recente annuncio di Switch 2, con cui Nintendo ha ufficialmente gettato la maschera.
Sappiamo bene che l’industria videoludica sia dominata dalla logica dell’accattonaggio e dal principio per cui se qualcuno alza i prezzi o mette in atto pratiche anti-consumatore, anche gli altri seguono a ruota. Micro-transazioni e aumenti da 60 a 90€ ne sono un chiaro esempio, e come ho già spiegato in un video precedente non esistono scuse che reggano. Persino giochi che costano 300 o più milioni, come Spider Man, Call of Duty e GTA racimolano profitti incredibili con prezzi da old gen, senza contare DLC e acquisti in app. Quanto costa Mario Kart 9 a Nintendo? Non lo sappiamo, ma se il budget di Kingdom Come Deliverance 2 era 40 milioni, non credo proprio che aggiungere quattro feature in croce a un titolo quasi identico al predecessore possa giustificare un aumento del 50% per l’utente finale.
10€ in più sui Joy-Con (ancora senza hall effect) e 20 sul Pro Controller (uguale ma con una striscia grigia) sembrano anch’essi dei tentativi di spennarci in stile Apple. Però ehi, c’è il tasto C, quindi dobbiamo essere contenti. E la bellissima trovata di proporre la versione aggiornata di Breath of the Wild a 70€ senza DLC, venduto separatamente a 20€? Stiamo parlando di un gioco uscito 8 anni fa. Capisco la volontà di marginare e farsi percepire come marchio premium, ma questo è un comportamento da pulciari. L’ennesima dimostrazione che inflazione, dazi, costi di sviluppo e quant’altro siano soltanto delle comode scuse. Vuoi chiavarti il gonzo che fa double dipping? Mettilo a 40, ok dai 50 completo di DLC. E invece no, perché noi pretendiamo fino all’ultimo centesimo rimasto sul fondo del borsellino.
E se non ti va di spendere 500€ per Switch 2… nessun problema. Per i pezzenti come te c’è ancora la prima Switch, ci dice l’esimio presidente di Nintendo of America Doug Bowser. Un approccio spavaldo e disconnesso dalla realtà, che ricorda l’infelice uscita di Don Mattrick ai tempi dell’Xbox One, quando consigliò a chi non aveva una connessione internet stabile di acquistare una Xbox 360. Un marketing geniale. E sia chiaro, qui non voglio dibattere sul prezzo della console che, al netto di un sensibile miglioramento hardware rispetto alla prima Switch, e se paragonata a macchine come Rog Ally, non mi pare proprio ingiustificato. Il problema è che se dici di volerla comunque mantenere accessibile, forse dovresti rivedere le politiche commerciali e adattarti alle esigenze del tuo pubblico storico, che di certo non è il nerd eccitato da VRR e DLSS. A me piace la tecnologia ma personalmente ho sempre considerato le loro console moderne dei complementi da recuperare solo per le esclusive a fronte di una scheda tecnica inferiore alla concorrenza. Mi chiedo a che servano specifiche così pompate se alla fine rimani su titoli con grafica cartoon come Mario Kart e Bananza, peraltro affetti da evidenti cali di frame. Lo sai solo tu, Nintendo.
E vedete, mi andrebbe anche bene pagare di più per avere di più. Motivo per cui non considero oltraggioso tanto il prezzo di Switch 2 quanto tutto ciò che la circonda. Pur avendo un PC di fascia alta ho comprato volentieri Steam Deck OLED, visto l’impegno profuso da Valve sia nell’ingegnerizzazione che nell’ottimizzazione software e i progressi rispetto alla prima versione LCD. Dunque qui il problema non è essere taccagni. Il vero problema è che Nintendo, Sony e compagnia ci stanno abituando ad accettare miglioramenti nulli o impercettibili in cambio di veri e propri salassi. Le 17 remaster di The Last of Us e i Donkey Kong Country HD sparati a 60€ sono solo alcuni esempi. Minima spesa, massima resa. Anzi, se possono ci tolgono anche qualche opzione.
Basti vedere la guerra contro il formato fisico, che ha come vero obiettivo l’eliminazione dell’usato e un controllo ancor più diretto sul mercato. Si elimina l’intermediario e aumentano i margini di profitto, mentre il consumatore perde non solo opzioni d’acquisto ma anche il possesso dei giochi, venendo alla lunga costretto a ricomprarli su altre piattaforme quando i server vengono magicamente spenti. Costassero meno in digitale, e invece no! Anche quelli sono aumentati. In sostanza paghiamo molto di più per avere molto meno di prima, senza detenere l’effettiva proprietà di ciò che acquistiamo. E qui Ubisoft docet, visto che secondo loro dovremmo abituarci all’idea di non comprare dei prodotti ma di noleggiare semplicemente delle licenze. Lo hanno persino ribadito in risposta alla causa legale riguardante The Crew, reso completamente inaccessibile nel marzo 2024 quando chiusero i server necessari per il suo funzionamento. I giochi non sono mica vostri, li state solo prendendo in prestito. Vale sia per il software che per DLC e micro-transazioni. Schiacciano un bottone e sparisce tutto dalla libreria.
Se mettiamo insieme gli elementi discussi finora, viene fuori un quadro piuttosto preoccupante. Prezzi fuori controllo, pratiche scorrette e fine della proprietà sono una minaccia enorme che è ormai impossibile ignorare. L’usato e GOG rimangono forse gli unici modi per contrastare l’ondata di speculazione e tenere le manacce luride dei publisher alla larga dal nostro portafogli. Ma fino a quando? Il fisico sparirà presto e nessuno ci garantisce che GOG riesca a sopravvivere a lungo. Mi spiace ammetterlo, però emulazione e pirateria stanno diventando, paradossalmente, gli unici strumenti realmente efficaci e duraturi per tutelare i consumatori. Il che è assurdo.
Io sono un appassionato di retrogaming. E oggi il retrogaming reale, cioè la possibilità di rigiocare liberamente i titoli del passato, esiste quasi esclusivamente grazie a emulazione e pirateria. Primo perché le console originali sono spesso carissime, specie se funzionanti e in buone condizioni. Poi i cavi, gli alimentatori, le memorie e i supporti sono soggetti a usura. In più i giochi fisici costano spesso una follia e non è per niente semplice reperirli. Chi può permettersi di esplorare la storia videoludica in questo modo? Nessuno, tranne collezionisti o ricconi.
I publisher fanno ben poco per incentivare la riscoperta dei titoli passati. Tranne rari casi, Nintendo, Sony e compagnia non hanno mai messo davvero a disposizione le loro librerie classiche in modo accessibile. Nintendo offre pochissimi giochi a rotazione nel suo servizio online, e solo pagando un abbonamento. Niente accesso completo né preservazione. Sony con PS Plus Premium promette “classici PS1 e PS2”, ma ne offre una manciata (e a rotazione). Microsoft è la più virtuosa con la retrocompatibilità, ma anche lì mancano tonnellate di giochi originali Xbox o 360. I giochi che vengono rilanciati spesso sono remake o remaster, non gli originali. E a prezzo pieno. Conviene davvero pagare Nintendo per una versione emulata male di Wind Waker quando posso giocarci meglio su Dolphin, con salvataggi rapidi, mod, trucchi, shader grafici, alla risoluzione che voglio e gratis?
Non sto dicendo che sia moralmente giusto, questo ci tengo a chiarirlo. Ma si può davvero parlare di furto se non possiedi ciò che acquisti? Paghi ma non è tuo. Non puoi rivenderlo, prestarlo, non sai neanche se funzionerà tra 10 anni. Se io rubo un’auto, tu non ce l’hai più. Se scarico Mother 3, Nintendo non ha perso niente. Anzi, sto facendo preservazione storica gratuita. E vari studi lo confermano: chi scarica illegalmente spesso spende anche di più nei canali ufficiali, perché si fidelizza. Shin Megami Tensei: Strange Journey, per DS, l’ho finito sull’R4. E oggi compro collector’s edition di qualsiasi gioco Atlus. Ne ho ben 3 di Persona 5, alla faccia dei gonzi. Forse servirebbe cambiare un attimo prospettiva.
Ora, il mio scopo non è fare l’apologia del pirata né giustificare i torrent. Voglio semplicemente ricordarvi che se l’industria videoludica ci prende per imbecilli e vacche da mungere, di alternative ne abbiamo ancora. E la risposta alla domanda: “cosa possiamo fare per lanciare un messaggio alle aziende?” è più semplice di quanto pensiate. In primis evitare di lasciarci trasportare dall’hype, informarci e acquistare consapevolmente. Non c’è bisogno di comprare al day one né di pagare nulla a prezzo pieno. Esistono milioni di offerte, bundle, titoli meno recenti che costano una miseria e ovviamente il mondo indie. La pazienza viene sempre ricompensata e farsi prendere dalla FOMO non aiuta a raddrizzare un’industria che invece ne abusa. Spendiamo soldi solo dove e quando ci conviene, lamentiamoci delle scammate e soprattutto smettiamola di giustificare aziende multimilionarie a cui non importa una sega di ciò che vogliamo. Non siamo noi a dover trovare giustificazioni per i loro rincari, dunque basta pensare come azionisti ma come consumatori che pagano, vogliono valore e pretendono rispetto.