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We Happy Few – Recensione | Occasione che più sprecata non si può

Alla fine We Happy Few ce l’ha fatta. La grande incompiuta di Compulsion Games è finalmente uscita dal bozzolo dopo ben 4 anni di sviluppo e una valanga di polemiche. Prima quelle relative alla censura in alcuni Paesi, poi ai lavori travagliati, infine alla pubblicazione da parte di Gearbox. Quest’ultimo avvenimento ha proprio mandato in bestia i finanziatori del progetto su Kickstarter, alla luce di un rincaro immotivato fino a 60€. C’è stata anche l’inclusione di un Season Pass da 20 euro, giusto perché il titolo si era incollato al petto la spilla di tripla A. Immotivatamente, tra l’altro, vista la qualità scadente dell’esperienza survival in accesso anticipato su Steam. Noi l’avevamo provata tempo addietro e ne eravamo rimasti piuttosto delusi.

Intanto Compulsion era al lavoro su un redesign del gioco. Si prevedeva di trasformarlo in un’avventura lineare basata sulla trama, mettendo da parte gli elementi superflui e tediosi. Grazie al supporto di Gearbox il team ha puntato ad espandere la narrativa, aggiungendo corpose sezioni alla campagna e altri due personaggi giocabili. Rimossa parte della fuffa, si iniziavano a decantare delle somiglianze con Bioshock. Nella realtà dei fatti, tuttavia, nonostante fossero mosse da buona volontà, tali modifiche hanno lasciato delle cicatrici su We Happy Few. Cicatrici che abbiamo inquadrato con la lente d’ingrandimento nella nostra recensione.

we happy fewWe Happy Few – Recensione

Data di uscita: 10/08/2018
Versione recensita: PC
Disponibile su: PC, PS4, XBO
Lingua: Italiano
Prezzo di lancio: €59.99
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Parliamo prima di tutto di storia e ambientazione, sicuramente i due punti forti di We Happy Few. Ci troviamo in un’Inghilterra dal tono distopico, immersa in un 1960 retro-futuristico in cui la società ha preso una piega abbastanza folle. La Germania sembra aver vinto la Seconda Guerra Mondiale, costringendo gli Alleati alla resa. Wellington Wells e i suoi abitanti sono stati distrutti fisicamente e psicologicamente, tanto da rendere necessaria l’invenzione di una droga potentissima, la Gioia. Essa provoca allegria in modo artificiale, come la polverina di Pollon, e il suo utilizzo viene imposto dalle autorità locali. Chiunque la rifiuti viene definito “musone” e perseguito dalle forze dell’ordine.

Censura, conformismo, accettazione inerme della realtà. Questi i principi della gestione di Wellington, luogo delle sventure dei tre protagonisti. Il primo è Arthur, un giovane giornalista tormentato dal passato burrascoso e dal particolare rapporto con il fratello. La seconda si chiama Sally ed è una vecchia conoscenza di Arthur invischiata in affari loschi con le alte sfere. L’ultimo risponde al nome di Ollie, ha qualche rotella fuori posto e vive alla meno peggio nelle periferie malfamate. Tutte e tre le loro storie sono snocciolate con criterio, specialmente per quanto riguarda dialoghi e interazioni, riuscendo a intrecciarsi in maniera egregia nelle fasi finali.

We Happy Few – Video Recensione

La migliore, comunque, rimane quella di Arthur, alla luce di uno sviluppo caratteriale riuscitissimo e vari momenti degni di essere ricordati. Al secondo posto mettiamo la parentesi Ollie, ricca di azione e rivelazioni su varie figure chiave del mondo di gioco. Solo terza la campagna di Sally, di certo più noiosa e compassata rispetto alle altre due ma per nulla scadente. Il tutto è condito da un ottimo doppiaggio, capace di conferire maggior enfasi e realismo agli scambi spesso accesi tra i personaggi. In ambito narrativo, dunque, quasi niente da eccepire.

Purtroppo, la scure cala su tutto il resto. We Happy Few dovrebbe essere un’avventura lineare, alla Bioshock, eppure conta al suo interno un sacco di fastidiosi rimasugli della struttura survival adottata in precedenza. Indicatori di fame, sete, sonno, sanguinamento e così via vi metteranno ansia con regolarità impedendovi un corretto e rilassato focus sulla narrazione. Potete anche scegliere di limitarne gli effetti abbassando la difficoltà ma è evidente che si tratti di tasselli fondamentali nel design del titolo. Allo stesso modo di crafting, walking simulation e stealth, tutti fastidiosamente inutili.

Per essere più chiari, analizziamo una missione primaria presa a caso. Ci viene chiesto di craftare un oggetto grazie al quale potremo avanzare verso l’obiettivo. Ovviamente mancano i materiali, quindi cosa facciamo? Andiamo in giro a rovistare tra i cestini nella speranza di trovarli. Nel frattempo, però, dobbiamo prestare attenzione ai cittadini che non prendono bene l’intrusione nelle loro dimore. Entriamo in stealth, cercando di rubare il necessario, e veniamo scoperti perché l’intelligenza artificiale, che di solito non vede a un palmo dal proprio naso, ci scorge attraverso muri di cemento.

We Happy Few ha una solida narrativa, ma soffre per il cambiamento di rotta nel proprio sviluppo

Così torniamo indietro correndo, visto che non esistono armi da fuoco e i cittadini ostili attaccano in gruppi da 5-6 unità. Scappiamo per circa 3 minuti fino ad arrivare al marcatore della quest, posizionato sempre nel lato opposto della mappa. Inspiegabilmente usare i viaggi rapidi richiede lo sblocco di determinate zone nascoste, spesso troppo pericolose o tediose da raggiungere. Inoltre la proceduralità delle zone fa sì che gli indicatori siano posizionati senza criterio, non essendoci un vero level design. Il risultato? Minuti di emozionanti camminate immersi nel verde come in Fortnite.

Altro motivo di tedio è l’implementazione deficitaria della barra di assuefazione dalla droga. Dovremo infatti prestare sempre attenzione al livello di Gioia in circolo, perché sia assumerne poca che troppa ha effetti collaterali. In certe sezioni saremo costretti ad ingoiarne una pillola per evitare di essere inseguiti da una folla inferocita, in altre a farne a meno. Il fatto è che gran parte delle aree stealth prevede l’utilizzo obbligato di Gioia, che al riempirsi della barra mette il personaggio in uno stato di pericolo e vulnerabilità riempiendolo di debuff, oltre che allertando gli NPC. E anche quando in astinenza, ci sono comunque dei malus. Insomma, alla fine della fiera questa meccanica risulta più fastidiosa che interessante.

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We Happy Few non conta su un buon sistema di combattimento, e l’ottimizzazione è su PC inesistente.

Sappiate, poi, che neanche il sistema di combattimento è all’altezza. Possibili solo un paio di attacchi corpo a corpo (uno furtivo), il lancio di oggetti e la parata che, se eseguita con tempismo, permette di disarmare il nemico. Questo non prima di aver sbloccato l’abilità apposita nello skill tree a disposizione, che è sì abbastanza variegato, ma con molte meccaniche al suo interno che avremmo preferito avere subito nostre proprio per la mancanza di profondità del gameplay. Limitazioni su limitazioni. Ah, gioite se vi piace Breath of the Wild: anche qui le armi si rompono ogni 2 secondi e mezzo.

Sebbene volessimo chiudere con una nota positiva, ci tocca parlare del comparto tecnico. Da fermo il gioco riesce ad essere addirittura ispirato nel suo particolare stile artistico a metà fra il reale e il caricaturale, con un buon livello di dettaglio, vegetazione lussuriosa, effetti particellari discreti e luci/ombre nella media. Eppure, guardando il contatore dei frame al secondo, sale la depressione. We Happy Few si permette di scendere sotto i 30fps su sistemi di fascia alta capaci di superare i 100 persino con Monster Hunter World, le cui prestazioni sono peraltro azzoppate dal Denuvo. Gira da schifo, non ci sono mezzi termini. E non solo, è pieno zeppo di bug che vanno a inficiare il completamento di alcune missioni costringendo a ricaricare i salvataggi. Inaccettabile da un novello tripla A venduto a 60€ con tanto di Season Pass extra.

Da evitare

Per quanto ci piacerebbe essere parziali come i cervelloni di Polygon e Kotaku, che giudicano un prodotto solo in base alle considerazioni personali sulla trama, allo stato attuale non riusciamo a consigliare l’acquisto di We Happy Few. Ok, ci sono dentro almeno 18 ore di contenuti narrativi di qualità e lo scenario distopico stuzzica quanto basta. Il problema risiede nell’assoluta incoerenza e incompatibilità degli elementi di gameplay survival con la struttura lineare basata sulla storia, senza contare l’ottimizzazione terribile su PC e il prezzo esorbitante con la beffa dei contenuti scaricabili a pagamento. E questa sarebbe l’evoluzione di un indie in tripla A? Se sì meglio perdere una A e diventare come Ninja Theory.

Un commento

  1. Condivido la tua recensione, potrei dire parecchie cose ma il tutto si riassume nella fra occasione sprecata. Peccato.

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