Per quanto mi sarebbe piaciuto parlare dello schifo di Nvidia e delle recensioni “guidate”, credo che l’argomento di oggi abbia la precedenza. Prima di tutto perché mi sta a cuore la libertà d’espressione in ogni sua forma, nella fattispecie quella creativa. In secondo luogo, sorge in me la preoccupazione che la scarsissima attenzione mediatica del caso possa farlo passare sotto traccia. Ed è proprio l’ultima cosa che voglio. Di che parlo? Di censura da parte degli USA, purtroppo. Non soltanto nel mondo dei videogiochi ma in tutta la sfera dell’intrattenimento di matrice nipponica, inclusi anime e manga. E nonostante il fenomeno riguardi al momento (e sottolineo al momento) i contenuti per adulti, accettarlo in silenzio significa consentirne l’espansione a qualsiasi altra tipologia di contenuti. Cosa di cui, in realtà, abbiamo già avuto diversi segnali.
Dovete sapere che negli ultimi anni, Visa e Mastercard hanno imposto restrizioni sempre più rigide sui contenuti per adulti. Specialmente in Giappone, patria delle produzioni 18+ più gettonate come doujin, JAV ed hentai. E voi direte: che c’azzeccano Visa e Mastercard con il fapping? Tecnicamente nulla, almeno sulla carta. Eppure, eccoli sbucare fuori in abiti clericali pronti a esorcizzare il diavolo tentatore. Questi loschi figuri non si limitano infatti a processare transazioni: stabiliscono linee guida morali a cui devono aderire tutti i venditori di contenuti per adulti che usano i loro servizi. Secondo le clausole contrattuali che impongono il rispetto di una morale internazionale, sono severamente vietati: contenuti che rappresentano personaggi simili a minori (anche se fittizi e maggiorenni nella storia); tematiche considerate controverse, come shota, loli e rapporti non-consensuali (anche se solo simulati); forme di animazione o disegno che potrebbero risultare problematiche per i regolatori americani, indipendentemente dal Paese di provenienza dei contenuti.
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Tali normative, intenzionalmente vaghe e fumose, stanno pian piano distruggendo il settore dell’intrattenimento per adulti in Giappone. Siti come DLsite, FANZA e Melonbooks sono stati costretti all’autocensura, rimuovendo dal commercio prodotti che rientravano in categorie problematiche secondo Visa e Mastercard. Alcuni hanno iniziato a limitare l’accesso a utenti internazionali, nel timore di incorrere in problematiche legate alle normative estere. Altri, meno fortunati, sono stati costretti a chiudere. Emblematico il caso di Manga Library Z, fondato nel 2011 dall’autore di Love Hina, Ken Akamatsu. Nel giugno 2024, la nuova inquisizione ha chiesto al sito di interrompere la vendita di prodotti contenenti tag non ritenuti accettabili dalla nuova censura USA. Il contraccolpo finanziario e l’impossibilità di negoziare un accordo tra le parti ha prevedibilmente lasciato la piattaforma con il culo a terra, come si suol dire. Non sono neanche riusciti a pagare gli autori dei manga ospitati. Di conseguenza, il 26 novembre 2024 hanno dovuto chiudere i battenti.
Di casi simili ne esistono parecchi, da Niconico e Skeb a creatori indipendenti vistisi negare i pagamenti da un giorno all’altro e in modo del tutto arbitrario. DLsite aveva tentato di aggirare il problema usando un dominio alternativo per separare i contenuti adulti, ma lo stratagemma è stato smascherato dai signori della censura USA e prontamente punito. Il messaggio è chiaro: o ti conformi agli standard o sei fuori dal mercato. Il paradosso è che non stanno facendo nulla di illegale. La legge giapponese gli permette di vendere materiale per adulti. Ma le transazioni non passano. Si è quindi instaurata una censura privata e sovranazionale, dove colossi finanziari USA stranieri dettano legge sul contenuto di opere creative giapponesi. Non so voi ma a me sta roba fa venire i brividi. E come me la pensa anche il nostro amico Yoko Taro, che circa un anno fa scriveva su X: “L’editoria e i settori affini hanno da sempre dovuto affrontare regolamentazioni talvolta illegali, ma il fatto che un’azienda di elaborazione dei pagamenti, che è coinvolta nell’intera infrastruttura di distribuzione dei contenuti, possa fare queste cose a propria discrezione mi sembra estremamente pericoloso. Significa che chi controlla queste aziende può addirittura censurare la libertà di parola di un altro Paese. Non è solo una questione di censure e libertà di espressione ma una vera falla nella sicurezza che mette in pericolo la democrazia stessa.”
Non è un’esagerazione. Pensateci: se queste società possono decidere cosa sia accettabile vendere, perfino quando è legale, vuol dire che il potere di censura da parte degli USA si è spostato dalle mani dei governi a quelle delle aziende private. Non siamo poi tanto lontani dalla distopia. E sapete qual è la loro scusa ufficiale? “Proteggere il brand”. Padre Cietan Kitney, presidente di Visa Japan, ha infatti dichiarato che la sospensione dei pagamenti con carta per contenuti per adulti legali in Giappone sia “necessaria per proteggere il marchio”. L’inquisitore Kitney ha sottolineato che, sebbene la politica di Visa sia quella di supportare gli acquisti legali e legittimi, in alcuni casi è “necessario negarli per scopi di sicurezza”. Ha inoltre affermato che queste sono “decisioni complesse che coinvolgono sia politiche globali che locali” e che “è importante mantenere sincerità e integrità”, indicando che l’azienda non intenda cambiare la sua posizione. In parole povere fuffa. Da cosa dovrebbe essere protetto il brand? E chi si sentirebbe offeso dall’associazione con contenuti perfettamente legali nei mercati in questione? Proviamo a dare delle motivazioni sensate.
In primis le pressioni politiche e culturali del tanto democratico occidente. Visa e Mastercard sono aziende americane e operano secondo standard ESG sempre più rigidi, laddove il valore reputazionale viene interpretato secondo la sensibilità culturale statunitense. Culturale tra virgolette. Ciò comporta un’elevata prudenza su qualsiasi contenuto che possa essere etichettato come sessualmente esplicito, problematico o non inclusivo, anche se è perfettamente legale nei Paesi dove viene venduto. L’influenza di gruppi politici, azionisti e movimenti sociali americani gioca un ruolo ahimè importante. Poi c’è la questione rischio aziendale. Le piattaforme che gestiscono contenuti per adulti sono spesso soggette a frodi con carte di credito, chargeback e dispute, costituendo dunque un potenziale elemento di disturbo. In più, capita che gli istituti finanziari americani interrompano rapporti con soggetti legati al porno per evitare responsabilità legali o indagini (anche infondate) su eventuali violazioni di norme su traffico sessuale o sfruttamento minorile. Eliminare completamente questo tipo di contenuti è un modo per evitare qualsiasi rischio reputazionale o investigativo, anche minimo.
Ma ci sono anche ragioni più sottili, come la tendenza globale verso la standardizzazione dei contenuti verso una linea prettamente occidentale. Il contenuto per adulti giapponese, anche quello più artistico, surreale o comico, è spesso considerato non esportabile perché non si adatta alla sensibilità morale americana. Più che protezione del brand, si tratta di un tentativo di normalizzazione culturale, dove ciò che non è conforme a un canone specifico viene progressivamente marginalizzato. Ne parlava anche il creatore di Dragon Quest Yuji Horii in un’intervista poi censurata da Squacquerenix, ormai nel vortice della soia e del politicamente corretto. Infine, potrebbe esserci anche una ragione più concreta. Visa e Mastercard hanno un potere enorme sull’economia digitale: se bloccano i pagamenti, anche un contenuto perfettamente legale può sparire dal mercato. Questo potere può essere usato per dirigere i flussi economici verso piattaforme “approvate”, con contenuti più omologati, e tagliare fuori i distributori stranieri come DLsite, Melonbooks e Manga Library Z. In pratica ammazzare la concorrenza estera e sostenere quella nostrana. Il caso Huawei vi dice nulla?
E questo spiegherebbe anche l’inazione degli amici neo-puritani in casi come quello scoperchiato nel 2023 dal governo americano, secondo cui Visa e Mastercard fossero a conoscenza, almeno dal 2021, dell’uso delle loro reti per transazioni legate a contenuti illegali su OnlyFans, ma non hanno agito per fermarle. Nonostante le segnalazioni da parte di esperti anti-tratta e agenti federali, le aziende avrebbero continuato a processare pagamenti provenienti da schifezze che coinvolgevano minori. Capito sti rifiuti umani? Mentre in Giappone bruciano tutto per due zizze animate, giustificandosi con la necessità di “proteggere il brand”, negli Stati Unti contribuiscono attivamente al proliferare di attività abominevoli, oltre che illegali. Al solito, due pesi e due misure. Al di là di come la si possa pensare sull’argomento loli e shota, per me comunque di dubbio gusto, quantomeno non mietono vittime reali. In fin dei conti si tratta di disegni, 2D, finzione. Non penso ci voglia molto per capirlo.
Intanto qualche giorno fa Surugaya, rivenditore giapponese di giochi e doujinshi, ha sospeso l’accesso al materiale 18+ per PC sul sito. A quanto pare anche loro stanno avendo discussioni con i fornitori di servizi di pagamento. E attenzione: stiamo parlando di videogiochi, non più soltanto di anime e manga. Giochi che spesso e volentieri escono pure su Steam, dove Valve ha saggiamente mantenuto un approccio liberale senza ergersi a moralizzatore. E qui entrano in gioco le banche giapponesi, che a seguito di pressioni da parte di Visa e Mastercard, stanno bloccando i trasferimenti di profitti provenienti da Steam sfociando nell’assoluta follia e nell’illegalità. In pratica numerosi sviluppatori giapponesi non riescono a trasferire i guadagni ottenuti da Steam (tramite la banca statunitense di Valve) ai propri conti bancari in Giappone. In un’audizione con l’Agenzia Giapponese per i Servizi Finanziari, le banche hanno dichiarato che il blocco non sia dovuto esclusivamente ai contenuti per adulti, ma sia il risultato di una “decisione comprensiva” basata su leggi come Prevenzione del Trasferimento di Proventi Criminali e Commercio Estero. Ancora fuffa. Nessuna chiarezza, nessuna motivazione valida.
E non ne hanno neanche bisogno perché alla fine della fiera possono fare il cazzo che vogliono. A te, creatore di contenuti, possono negare il servizio senza alcun motivo. Non puoi protestare. Non puoi negoziare. Non puoi fare ricorso. Non ci sono leggi che ti proteggano. Non hai persone reali che possano fornirti assistenza. Non puoi fargli causa, visto che hanno siglato accordi con i governi che gli parano il culo. Se ti bannano non ne saprai mai il vero motivo. E devi tacere. Vedete, il nocciolo della questione non è la censura delle robe zozze in sé da parte degli USA, ma il potere incontrastato che queste aziende stanno esercitando. E il pericolo che si passi dal bloccare semplici contenuti erotici a qualcosa di decisamente più importante non va sottovalutato. Quando Yoko Taro prende posizione, non lo fa solo per difendere le graphic novel con i culi in copertina: sta lanciando un allarme sul principio stesso della libertà creativa e su chi oggi ha il potere di limitarla. E no, non sono i parlamenti eletti o i tribunali. Sono le società di pagamento. Le stesse che ogni giorno elaborano transazioni per traffici ben più torbidi, ma che qui decidono di ergersi a custodi della morale.
Il nodo centrale è proprio questo: non è censura morale, è censura sistemica travestita da rischio aziendale. E può colpire qualsiasi tipo di contenuto, non solo quello erotico. Se oggi tocca ai doujinshi o ai manga un po’ spinti, domani potrebbe toccare a opere che trattano tematiche politiche controverse, contenuti gay in Paesi con governi stile Arabia Saudita, videogiochi con violenza o satira religiosa, e persino reportage che criticano l’operato di multinazionali. Il pericolo non è la mancanza di porno, ma la dipendenza totale da infrastrutture private che possono silenziare creatori e distributori con un click, senza processo, senza appello e senza un briciolo di trasparenza. Quello che sta accadendo in Giappone è un campanello d’allarme. Non solo per chi produce e consuma contenuti erotici, ma per chiunque tenga alla libertà culturale ed editoriale. Se i processori di pagamento possono decidere cosa puoi vendere o acquistare, perfino quando la legge lo consente, allora viene a mancare il principio stesso di libero mercato. Il Giappone, con la sua ricchissima produzione indipendente, il suo approccio unico al racconto erotico e la sua diversità espressiva, è ora sotto attacco da chi crede che il mondo debba essere ridotto a un’unica insapore poltiglia di politicamente corretto. Questa, ragazzi, è la privatizzazione della censura da parte degli USA. Niente più, niente meno.
La domanda adesso è: cosa possiamo fare noi? Intanto evitare la passività. Parlare di questi temi apertamente, anche nel nostro piccolo, serve a rompere il silenzio e mettere in difficoltà chi agisce da dietro le quinte. Quando Visa o Mastercard si atteggiano a censori senza rendere conto a nessuno, il loro potere diventa incontestabile proprio perché la maggior parte delle persone non si accorge di nulla o, peggio, lo giustifica. Diffondere informazioni, condividere articoli, creare dibattito è già una forma di pressione. Poi c’è la questione economica. Anche se non sempre facile, cerchiamo quando possibile di sostenere direttamente i creatori e le piattaforme che rifiutano di piegarsi a queste logiche. Usare sistemi di pagamento alternativi, preferire store indipendenti, supportare le opere con donazioni dirette o criptovalute: tutto questo mina lentamente il monopolio di questi giganti. Non cambia il mondo dall’oggi al domani, ma crea una piccola crepa.
In parallelo, possiamo anche esercitare una forma di pressione politica, seppur indiretta, sostenendo le voci critiche come quelle di Taro Yamada, Ken Akamatsu e Yoko Taro, che hanno il coraggio di parlare ed esporsi. Il fatto che una figura di spicco dell’industria videoludica abbia denunciato l’arroganza di Visa e Mastercard significa che queste aziende iniziano ad attirare attenzione negativa. E se c’è una cosa che le multinazionali odiano più delle perdite economiche, è la pubblicità cattiva. Smerdiamoli, riempiamoli di critiche, intacchiamo la loro immagine pubblica. Sono piccoli gesti, ma in massa possono diventare significativi. Infine, ricordiamoci che la libertà di creare e accedere a contenuti legali non dovrebbe mai essere condizionata da società private che agiscono senza trasparenza o responsabilità. Ogni volta che accettiamo una censura non motivata, anche se su contenuti che magari non ci interessano, stiamo accettando una logica che domani potrebbe colpire anche ciò che amiamo davvero. E vi lascio con una citazione. “Coloro che baratterebbero la libertà per una sicurezza temporanea, non si meritano né la libertà né la sicurezza.” Chi ha orecchie per intendere, intenda.