town of light

[Recensione] The Town of Light – Follia e brutalità umana

The Town of Light è il primo lavoro dello team italiano indipendente LKA.it, un gruppo di 9 persone che non ha scelto la strada facile del casual gaming, preferendo invece creare un metagioco sulla falsariga di Dear Esther o Gone Home. Lo definiscono un thriller psicologico ma, a voler essere più crudi e onesti, si tratta piuttosto di una agghiacciante panoramica su quello che è stato il trattamento dei malati di mente fino agli anni ’70. Gli sviluppatori hanno ricreato con dovizia di particolari il manicomio di Volterra, adesso chiuso e decadente, raccogliendo documenti e informazioni scomode sul comportamento dei medici del tempo, e il rapporto con pazienti che divenivano dei semplici pezzi di carne da usare a propria discrezione.

The Town of Light

Il gioco racconta di Renée, una ragazzina che ad appena 16 anni viene rinchiusa in istituto. Vivremo l’avventura esplorando ciò che oggi rimane della struttura, risolvendo piccoli enigmi e attivando delle scenette che mostreranno attraverso flashback la storia di Renée.

Tra le numerose stanze dell’ospedale psichiatrico troveremo anche vecchi documenti che racconteranno il punto di vista dei medici (o presunti tali) su quanto accaduto. In molti casi i ricordi di Renée ormai adulta non coincideranno con quanto riportato sulle cartelle cliniche o nei registri, dunque sarà il giocatore a doversi fare un’idea personale riguardo le macchinazioni e le menzogne della dirigenza per proteggere la struttura o la memoria di una donna che fin da subito apparirà molto disturbata.
Le nostre interpretazioni avranno un ruolo importante, perché di tanto in tanto vestiremo i ruoli della voce nella mente della protagonista, le consiglieremo a cosa credere e a cosa non credere, la porteremo a dubitare dei propri ricordi o della documentazione ospedaliera.

La storia mette in risalto la maniera disumana in cui i pazienti venivano trattati in questo genere di strutture almeno fino agli anni ’70. Considerato quanto spesso si sente parlare di abusi anche nel presente all’interno di case di riposo, ospedali o asili, la tematica è purtroppo molto più attuale di quanto di non vorremmo, e riesce a toccare il giocatore con una certa irruenza.
Se la storia di Renée è toccante e in definitiva straziante, dobbiamo riconoscere come gli sviluppatori siano stati un po’ altalenanti nella gestione della ritmica, perdendosi troppo a lungo nei segmenti di gioco vero e proprio, che spezzano fin troppo la tensione della narrazione. Ci ritroveremo dunque a vagare da una parte all’altra dell’edificio alla ricerca del prossimo puzzle (tutti estremamente semplici), che non regalerà nulla in quanto a divertimento o soddisfazione, ma che sembrerà piuttosto una sorta di biglietto da pagare per poter ascoltare il proseguimento della storia, di per sé trascinante.

the town of lightNon c’è nulla di male nell’inserire elementi di vero gameplay all’interno di un walking simulator, esistono giochi che lo fanno e che riescono a risultare intriganti nelle loro meccaniche, vedi il già menzionato Gone Home, o The Stanley Parable, che rende il gameplay proprio l’elemento cardine della narrazione, o ancora Always Sometimes Monsters.
Tuttavia in questo caso le meccaniche proposte non riescono ad avere abbastanza mordente per competere con la storia, vera protagonista dell’esperienza e per certi versi colpevole di rendere il gameplay noioso.

A peggiorare le cose c’è la velocità di spostamento della protagonista, che non può correre e che, in alcuni momenti, arriva ad essere più lenta di quanto visto con la protagonista del lumachesco (ma meraviglioso) Everybody’s Gone to the Rapture.
Si potrebbe difendere tale scelta dicendo che gli sviluppatori volevano che ci godessimo la realizzazione del luogo, che ci immergessimo nell’esperienza, che si desse un senso di inesorabilità al racconto e, sul finale, troveremo anche qualche altra motivazione. Ma non c’è una reale coerenza tra i momenti in cui potremo camminare normalmente e quelli che appariranno invece forzatamente lenti, tralasciando le sequenze oniriche.

the town of lightI ragazzi di LKA.it hanno svolto un ottimo lavoro nel ricreare la struttura medica di Volterra. Non l’abbiamo mai visitata di persona, ma è innegabile che la cura riposta nei dettagli sia incredibile, e che il risultato appare fantastico se si pensa che solo 9 persone hanno lavorato al progetto.

Naturalmente una simile magnificenza grafica ha un costo: vi sono un gran numero di muri invisibili, i movimenti del nostro personaggio saranno spesso limitati, il draw distance mostra all’aperto i propri limiti e in generale l’ottimizzazione non è stratosferica. Non siamo incappati in alcun problema tecnico tipo crash e simili, e in generale l’esperienza è dannatamente piacevole per gli occhi.
Salvo per i comprimari. I modelli dei personaggi comprimari sembrano presi direttamente dal periodo PlayStation 2, sono poveri, dotati di texture a dir poco semplicistiche, animazioni legnose fino a sembrare delle marionette. Nulla da ridire invece sulla protagonista, ben modellata in viso, e per le sequenze più crude e importanti della storia, rappresentate in maniera eccelsa anche attraverso delle immagini statiche cariche di forza e dannatamente espressive.

Bizzarro il lavoro per quanto riguarda la colonna sonora, di per sé ottima, ma in pratica quasi del tutto assente. I pochissimi pezzi che ascolteremo sono molto belli, e dispiace che il team di sviluppo abbia voluto utilizzarli in modo così sporadico.
The Town of Light è interamente sottotitolato e doppiato in italiano, ma il lavoro della doppiatrice non è sempre soddisfacente. Nella maggior parte dei casi saprà dare carattere al personaggio, ma esistono più momenti in cui ci è sembrato di avere a che fare con un lavoro amatoriale e, in linea molto più generale, il doppiaggio in lingua inglese è una spanna superiore.

Conclusioni
The Town of Light ha qualità ma sbaglia a livello concettuale, non accontentandosi di narrare una storia toccante, ma cercando di coinvolgere in meccaniche di gioco che lasciano il tempo che trovano, risultando quasi un gating al prosieguo della bella trama. Coraggioso nelle tematiche, potente nelle immagini e crudissimo nella maniera di porgere i contenuti, il gioco è da encomiare per aver voluto trattare un argomento tanto lontano e tanto vicino come quello dei soprusi sugli indifesi, l’esercizio del potere, la mostruosità dell’uomo sull’uomo.
E’ un racconto toccante, di quelli che non si dimenticano e, se siete disposti a tralasciare le mancanze in termini di gameplay, avrete per le mani 3 ore di intrattenimento che vi lasceranno qualcosa dentro.
Valutazione

7.4
+ Storia molto toccante
+ Coraggioso e originale
+ Buona direzione artistica, anche nelle immagini 2D
+ Ottima recitazione (quella in inglese)
+ Lascia qualcosa dentro
– Fasi di gameplay noiose
– Velocità di spostamento a tratti esasperante
– Doppiaggio italiano solo sufficiente
– Colonna sonora poco sfruttata
– Prezzo elevato in rapporto all’offerta

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